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2 marzo 2011

Delay Five:di bisogno in bisogno


Lorac aveva trovato la donna della sua vita. Era felice. In una maniera assurda, indescrivibile, camminava praticamente con un sorriso stampato in faccia da mattina a sera. Non lo scalfiva niente, nessuna offesa, nessun dolore ne' fisico ne' mentale. Ormai Cahira aveva preso completamente il suo cuore. E tutto questo era palesamente visibile. Estremamente visibile. Lorac era un tipo molto schivo e molto introverso, tendenzialmente malinconico. Ma tutto questo lo aveva cambiato, rendendolo socievole e perennemente sorridente.
Cahira si era innamorata del suo fascino da poeta maledetto e lui della sua fresca bellezza mai troppo edulcorata.
Cahira studiava Scienze Politiche a M., e quel weekend a B. era bastato per conoscere Lorac, anche lui studente, ma di Lettere. Si erano conosciuti ad un concerto e per poi rivedesi i giorni a venire. Purtroppo se il tempo normalmante scorre, quello con passato con qualcuno di speciale va via in un attimo.

Lorac, sorridente come non mai, pensava a quello che poteva mettersi addosso per poter salutare la sua Cahira per darsi appuntamento a M. Mentre passeggiava per casa, ascoltava musica a volume alto, senza pensare a chi stava dormendo e a chi stava studiando. Una camicia sarebbe andata benissimo. Era in largo anticipo, strano per lui, ma non voleva perdersi neanche un secondo con lei. Avrebbe fatto una passeggiata. Bevve un bicchiere di latte e ando' via.
Il sole rischaiarava la giornata e rendeva piacevole tutto. Anche i bambini che con i loro schiamazzi era stati da lui sempre odiati, ora non davano fastidio. Anzi quel framitio di voci lo mettevo ancor di piu' di buon umore. Camminando si fermo' a bere un caffe', in modo da dar piu' senso a quella sigaretta che avrebbe fumato prima di arrivare alla stazione. Fumo'. Con fare deciso comincio' ad allungare il passo per arrivare in anticipo all'appuntamento.
Qualcosa non andava. Cominciava a sentir dolore alla pancia. Perche' proprio ora?Perche'? Giusto: caffe' e sigaretta. Cocktail micidiale. Doveva trovare un bar. O meglio un bar con un bagno. Piu' camminava piu' si sentiva male. Doveva decidersi. Il primo bar . Lo vide e entro'.Il bagno era libero, ed anche se le condizioni non erano le migliori, per come si sentiva, furono sufficienti. Doveva correre se voleva trovarsi in tempo con Cahira. Usci' di corsa biascicando un grazie, e poi via verso la sua meta. Era quasi arrivato, quando un altro attacco lo colpi'. Non ci penso' due volte, entro in un cafe' e chiede del wc. Comincio' a maledire tutto cio' che non aveva maledetto giorni addietro. Quando fu in strada si rese conto che era tardi. Molto tardi.
Arrivo' in stazione, si precipito' sul tabellone delle partenze. Vide sconcertato che Cahira era partita circa 5 minuti prima. Non ci poteva credere. Non voleva crederci.
In quel istante il suo telefono vibro'. Era un sms di Cahira.
"...pensavo di aver trovato una persona speciale....il tuo non esserti presentato mi ha fatto capire che non ti interessa niente.....addio."

23 febbraio 2011

Delay Two: il colpo del reato


"L'appuntamento e' alle 16 e non puoi arrivar tardi"...erano queste le parole che Giorgio mi aveva detto senza darmi il tempo di fiatare. Senza darmi il tempo di replicare che erano le due (14.00) e che mi ero appena svegliato. L'avevo sentito affannato e preoccupato, non so perché ed in quel momento non me l'ero neanche chiesto. Dopo tutto era un caffè che dovevamo prendere.
Doveva darmi una cosa o dirmi una cosa, erano un po' di giorni che me lo ricordava. Sinceramente ignoravo cosa fosse e neanche me ne preoccupavo.
Mentre pensavo alla telefonata e a cosa mi potesse dire o dare, mettevo qualcosa nello stomaco. Era tardi e tra i pensieri e le notizie che il telegiornale dava, si erano già fatte le tre. Ero ancora in tempo, una doccia veloce era quello che ci voleva per incominciare la giornata.
Dopo una mezzora ero gia' pronto e mi trovavo puntuale per arrivare all'altra parte dela citta'.
Strano che dovessi andar li'!
Pensavo e ripensavo a cosa potesse essere successo, a cosa spingesse Giorgio a cambiar Bar. Lui era cosi' abitudinario e il Caffe' del Corso faceva il miglior espresso della zona. Doveva essere qualcosa di importante...
Mentre riflettevo su questo non vidi l'uscita che mi portava in poco piu' di una decina di minuti da lui. Percorrevo la circonvallazione immerso nei miei pensieri, e camminavo camminavo...
...la cosa che mi porto' alla realta' fu il cartello che segalava la fine della citta'. Inchiodai di colpo e accostai per poter fare inversione. Guardai l'orologio e vidi che le quattro erano passate da circa dieci minuti. La bestemmia fu d'obbligo. Il mio amico avrebbe aspettato insieme a quello che aveva per me. Percorrevo questa volta la circovalazione con un unico obiettivo, fare il meno tardi possibile. Intanto le lancette correvano e il traffico aumentava, strano come queste cose sono sempre correlate.
Predevo l'uscita giusta questa volta, ma continuavo a pensare, erano passate le quattro oramai da venti minuti, ero sulle spine come se a fare ritardo in quel momento fosse stato lui.
Ero quasi arivato davanti al bar, quando vidi un particolare, una macchina della polizia...solo in quel momento tutto mi fu chiaro....avevo fatto tardi....il colpo era saltato e Giorgio era in manette....maledetto ritardo!

25 dicembre 2010

Racconto di un Natale Incredibile...



- Non mi crederebbe nessuno!!!!- diceva cosi' il povero Cosimo con le mani tra i capelli.

- Ma cosa???? E' possibile che stamane il tuo volto e' talmente sconcertato che sembra che hai visto un morto!?!

- No! E' impossibile!!! Sembrava cosi' reale, ma so che e' impossibile!

- Eppure ieri non eri cosi' a pezzi. Cioe', eri a pezzi, ma in senso alcolico. Ieri abbiamo un po' esagerato!!!- cosi' Walter cercava di far sfogare l'amico, che a dirla bene, non aveva una bella cera.

- Ti giuro che l'ho visto! E che era proprio lui!!! - sussurrava dopo un attimo di silenzio, con lo sguardo perso nel vuoto.

- Ma chi??? Dannazione, vuoi parlare? O vuoi rovinarti il giorno di Natale? Sfogandoti forse ti sentirai meglio.

- No, sono ancora un po' scosso....ma raccondandoti quello che e' successo....forse....c'e' la possibilita' che tu mi prenda per pazzo!

- Non c'e' pericolo, per me gia' ci sei!

- Ah allora, non ho nulla da perdere...- accennava un sorriso, e schiarendosi la voce, comincio' a raccontare la sua storia...
-...Era ormai notte fonda quando sono tornato a casa. Ho avuto appena il tempo di mettermi comodo e di coricarcarmi. Stavo dormendo quando ho cominciato a sentire rumori per casa. Ho aperto gli occhi per controllare se stessi sognando, ma i rumori, anche se molto flebili, contunuavano. In un primo momento, ho pensato venissero dalla casa dei vicini, invece no, venivano proprio dal salotto....

- Hai trovato i ladri? La notte di Natale, per giunta? - interruppe Walter

- Affatto! Fammmi finire....

- Continua continua....

- Stavo dicendo......i rumori venivano proprio dal salotto, dal mio salotto. In quel momento con un candelabro in finto argento in mano, il primo oggetto contundente che ho trovato, ho cominciato a percorrere il corridoio per arrivare in salotto.
Vedevo gia' la sua ombra, era solo, e per un attimo forse avevo una speranza di non farmi portar via quei pochi oggetti di valori che possedevo.
Ogni passo che facevo, nel buio riuscivo a vedere meglio la sua figura. Era alto e robusto, molto robusto. Quando sono arrivato in salotto, la sua figura era definita, ma i miei occhi spalncati non riuscivano a credere a quallo che stavo vedendo.
Con un colpo di tosse mi annunziai, in quel momento girandosi, capi' che le sue intenzioni non erano violente, anche perche' al posto di prendere i regali che stavano sotto il mio modesto albero, li stava aggiungendo! In un attimo ero sbiancato, e lui con un sorriso mi disse, che anche se non ci credevo, quest'anno era riuscito a passare, e aveva pensato bene di lasciare anche qualche regalo in arretrato.....

-.....aspetta, tu mi vuoi far credere di aver visto Babbo Natale? Ahahhahahahaha, l'alcool ieri ti ha dato alla testa? ahahahhahaha

- Ora capisci perche sono sconvolto, anche io in un primo momento, mettendomi a letto, ho pensato che forse erano state allucinazioni.....Ma stamane appena sveglio, ho trovato pacchi regalo, che fino a ieri non c'erano.....sembra incredibile......

- E' incredibile!!! diceva Walter, che ora non sorrideva piu'

- ....c'e' anche un regalo per te, che mi ha lasciato, con un biglietto sopra. - disse Cosimo consegnandogli un pacco grande quanto una scatola di scarpe
Walter apri' il regalo impaziente di vedere cosa era. Una macchina radiocomandata. Anche la sua faccia sbianco', l'aveva desiderata quando era ancora piccolo, ma nessuno gliela aveva ragalata. Apri' il biglietto e riconobbe la letterina che mando' quindici anni fa.....era incredibile non gli avrebbero mai creduti....

27 novembre 2010

Beginning



Era malinconico, senza saperne il motivo, era una sensazione che non aveva mai provato prima. Eppure aveva tutto, tutto quello che un uomo, nel suo piccolo, potesse desiderare. Ma gli mancava qualcosa, qualcosa che per lui era veramente importante, se solo fosse riuscito a capire cosa.
Molti ritenevano la sua vita invidiabile, non per quello che faceva, ma per come ci riusciva. Il suo modo gentile e leale gli aveva procurato numerosi amici e pochi nemici. Cosa che per il suo lavoro era indispensabile.
Aveva un lavoro, e questo non era cosa da poco, dato che molti della sua eta' ne cercavano da anni uno. Non solo aveva un lavoro, ma anche molti soldi. Non era nato ricco, anzi. Aveva cominciato dal basso, lavorando anche 12 ore al giorno, e poi pian piano la fortuna gli aveva sorriso. Oggi non solo guadagnava una cospicua somma, ma faceva lavorare circa 400 famiglie. Nonostante tutto, non era felice...gli mancava qualcosa che desse un senso a tutto...qualcosa per cui la notte non dormiva piu'.
Nel suo attico, tutto aveva perso valore, non monetario, ma affettivo . Sembrava come se niente di tutto quello circostante fosse suo. Non solo, oltre alle cose a cui rinuncio' facilmente, anche il lavoro sembrava non appartenergli piu'. Erano mesi che il suo ufficio era vuoto, e nell'ombra di un computer mandava avanti quel che poteva. Lo faceva solo per le famiglie che manteneva, doveva farlo. Lo stretto necessario sarebbe bastato...lasciandosi
del tempo per riflettere.
Riflettere...[to be continued...]

20 novembre 2010

tipo.




"hai presente?...tipo una droga.

...tipo una musica che non riesci a toglierti dalla mente.

...tipo un'idea geniale, tipo un brivido.

...tipo un giramento di testa.

...tipo il pogo in mezzo alla folla.

...tipo un paio di quintalate di mattoni addosso.

...tipo che hanno acceso il fuoco sotto la sedia.

...tipo che tu pensavi che non sarebbe successo più.

...tipo un pezzo della tua band preferita.

...tipo l'albero di natale fatto in tempo.

...tipo il giorno del tuo compleanno.

...tipo un renoir, visto da dentro, però.

...tipo tante cose.

...tipo l'altro giorno che ridevo in maniera un po' stupida."

"eh, tipo."

1 novembre 2010

breve storia post-halloweeniana (quattro righe ermetiche. amen.)


"fanculo. fanculo questa maschera. fanculo davvero. e fanculo anche a te, che non mi hai detto nulla, e mi conosci da una vita. basta. la voglio buttare via."
parlava con sè stesso, lui, davanti allo specchio. non riusciva a distinguere più la persona autentica da quella artefatta.

24 ottobre 2010

[...] i giorni [...]


Istruzioni per l'uso: Leggere con questo sottofondo musicale - o con quasiasi altro vi piaccia.

[...]le aveva detto tutto, non era riuscito a tener dentro. L'unica cosa fu che lo fece nella maniera piu' teatrale possibile. L'aveva urlato al mondo, almeno al suo di mondo, davanti casa sua. Lei non era uscita, aveva solo ascoltato tutto, senza parole. E mentre le sue amiche sghignazzavano e se la ridevano, lei non proferiva parola, ascoltava soltando. In silenzio.

E quel silenzio era pesante, e lungo. Erano attimi, ma a lei sembavano secoli, solo i suoi pensieri scorrevano inesorabili, senza sosta, come un fiume in piena. Ricordo' di tutte le attenzioni che fino ad allora le aveva donato, anche quelle che meno meritava, anche quelle che non avrebbe mai ricambiato.
Lui sembrava esausto, da troppo tempo aveva portato questo segreto dentro di lui. Doveva togliersi questo fardello. Doveveva liberare il suo cuore, doveva liberarlo davanti a lei. Solo a lei.
Ma non era riuscito a farlo. L'aveva fatto davanti a tutti senza nemmeno guardarla in faccia. Nonostante tutto non era dispiaciuto, si sentiva leggero, e forse non importava quello che lei avrebbe pensato. Perche' in quel momento, in quel momento era libero. In quel momento era lui.
Lei, annuiva, anche se lui non poteva vederla. Chiusa dentro la sua stanza, nel suo silenzio, il suo volto era rigato da una lacrima.
Lei che non aveva mai pianto.

Le sue parole non erano urlate, ma neanche troppo silenziose, erano un sussuro definito e scandito da emozioni. Quando fini' di "sussurare" si accascio' a terra e, senza parole, fissò la sua camera, come se sapesse che lei fosse li.
Lei... non era spaventata, e forse neanche tanto stupita: lo sapeva che sarebbe successo. Prima o poi. Si alzo' e si diresse vicino la finestra, nascosta dalla tenda, e osservo' quell'uomo, cosi' diverso rispetto a quando l'aveva conusciuto lei. Era diverso, dentro e fuori. Fu un attimo. I loro sguardi si incrociarono. Solo per un attimo.
Rimase per ore a guardare quell'uomo che aspettava che la sua Giulietta si affacciasse.

Ma quando, ormai, prese la sua decisione, quando lei usci'- affannata -
lo vide, sì, ma mentre si allontanava, in silenzio come era entrato nella sua vita. A piccoli passi, senza infastidire nessuno.
Lei...voleva urlagli di fermarsi, ma non lo fece. E fu l'ultima volta che lo vide. Ed un'altra lacrima rigo' il suo volto.

23 ottobre 2010

conseguenze.


"come diavolo hai potuto?"
"è stato un momento di debolezza, carlo..."
"...fottiti. anzi, a quello ci penserà qualcun'altro, credo. e dire che..."
"ti prego, capiscimi..."
"capire cosa? e dire che ci ho perso anche del tempo. pensavo che quel viaggio avesse cambiato qualcosa. pensavo che tu fossi cambiata in qualcosa. già, in effetti è vero: sei peggiorata. e la cosa che mi fa ribrezzo è che hai giocato con i miei sentimenti, mi hai illuso, ché già lo sapevi che io non ti avrei dimenticato, almeno per un po'. che saresti stata tu il chiodo fisso per un bel po' di tempo...sai quanto?"
"no. non lo so." (scocciata)
"due anni. due fottutissimi anni. e "spiccioli", naturalmente."
"stai messo male".
"no, sei tu che sei messa male. se riuscissi a guardarti allo specchio troveresti che sei diventata una persona spregevole".
"ma, cazzo, un attimo di debolezza, dai...non volevo..."
"però l'hai fatto. e non esiste "non volevo" o "attimi di debolezza": hai fatto così, te ne ciucci le conseguenze. non sono il tuo "bambolo gonfiabile", cara mia."
"'fanculo carlo."
"esci dalla mia vita. ora."
"avrai un grande vuoto."
"lo riempirò, credimi, e non sentirò di certo la tua mancanza."

(e poi arrivò chiara. carlo aveva ragione.
la tizia si era anche permessa, per la cronaca, di tirare uno schiaffo al povero carlo, giusto perché di merda, quel povero cristo, ne aveva ricevuta poca addosso, eh.
non so cosa faccia, lei, ora: è sparita. a me non interessa, tuttavia. men che meno al nostro carlo. giusto per essere chiari.)

12 ottobre 2010

D'una sera d'eventi (...vista dagli occhi di un altro)



[...] Era un giorno come gli altri, anzi era notte. La notte, in quel periodo, era il mio giorno. Non perche' giravo tra locali come i tanti uomini della mia eta'. Io di notte ci lavoravo. Ero un guardiano, ed insieme alla mia torcia, controllavo che tutto filasse liscio. Come sempre la mia posizione non era delle migliori, poiche' costretto a controllare. Ed in molti casi a raccomandare le persone a fare piu' piano. Dovevo "limitare", era un compito che non mi stava bene, ma lo dovevo fare, era il mio lavoro.
Guardavo i giorni, i mesi gli anni passare in base all'affluenza di turisti che giungevano da molte parti del mondo. Vedevo qualsiasi genere di persone: educati, ragionevoli, casinisti e irrispetosi.
Quella sera, come tante, mi raccomandavo a dei ragazzi italiani, di fare piu' piano. Come sempre le mie raccomandazioni, troppo scomode, trovavano qualcuno che dissentiva, che non pesando le parole usava un linguaggio non proprio addatto alle circostanze. Ci ero abituato. Ma un gruppo si fermo' scusandosi dell'accaduto, e comincio' a parlare con me. Poche erano le persone, che provavano a sentire le parole di un guardiano. Cominciai a raccontare, la mia di storia, e vedevo che le loro faccie erano attente e i loro occhi seguivano il mio cuore....
Raccontai dell'America, di cosa sia stata per me l'America. Raccontai dell'Italia, del mio amore per lei e quanto mi ha ferito. Parlai dei miei sogni, di come ero riuscito, in parte, a soddisfarli. Dissi dei miei successi e dei miei sbagli.
Ricordo con piacere, le facce di chi oltre ad ascoltare, mi chiedeva come avessi fatto....volevano capire la vita, e forse chiedevano a me, che dentro di me ancora non l'avevo trovata.....almeno non ancora... [...]

8 ottobre 2010

...oppure no? (chiara. molto chiara. quasi abbagliante, a mio avviso...)

"ehi la roma questa domenica non è andata proprio eh...li vedo un po' troppo demotivati. e poi, poi una squadra con quel modulo non so...è inconcludente..."
"...ho conosciuto una tizia"
"grazie per la considerazione eh. stavo parlando. dai non ce la faccio. non sto nella pelle. dimmi come si chiama. non lo vedi come trepido? sono impaziente come un blocco di marmo. e intanto la roma se ne va per la tangente..."
"comunque grazie eh, meglio la roma che carlo. vabbè, me la sto segnando. se ti stessi rivelando il decimo segreto di fatima (a quanti siamo...tre?) tu mi diresti "non posso, c'è la roma!"
"falla finita. sei un escremento di permalosità. e, dimmi, come si chiama la tizia?"
"sei un amico. oltre ad essere uno degli autori del galateo eh. comunque...chiara."
"ma chi...chiara moretti? la nostra compagna che seguiva il corso, un po' di tempo fa, ché lo sappiamo solo noi cosa abbiamo fatto per uscire da quel bucodiculo di università, dai, il corso di marini?"
"no, no, quella altro che chiara, quella è chiara solo di nome! quella è nera come la pece, dentro si intende eh, ché se la vedessi diresti che è un'irlandese"
"ah beh. ascolta, chiara moretti è un certo discorso, anche "abbastanza serio", non so se capisci, secondo me...comunque cos'è 'sta storia della scura dentro? sei un po' patetico lo sai? un po' non ti riconosco carlè..."
"no vabbè, è una vita che mi conosci robè, prima l'università e poi tutta 'sta storia qui del lavoro e poi il blog e tante altre cose, ma sai che c'è di nuovo? c'è che chiara è diversa..."
"lo dicevi pure di quella lì, quella del viaggio, che ci hai sprecato ore e neuroni per colpa sua."
"senti, "quella lì", come la chiami tu, è un frammento che non posso buttare né rinnegare. è...passata. punto. e non ci penso nemmeno più. vabbè sì, un po' il ricordo c'è ma, per dire, il cane non si può sbarazzare della coda, se la porta sempre dietro, no?"
"i pincher non hanno la coda."
"era per dire..."
"lo hai detto in maniera orrenda, ma lo hai detto, questo è vero..."
"vabbè robè. non interrompermi. ti dicevo..."
"si ma questa qui la conosco?"
"no."
"dimmi che fattezze ha, allora."
"oggesummio! fammi parlare. ti ricordo che per quanto era interessante per te mi hai paragonato ad un blocco di granito."
"marmo."
"granito, marmo. non vendo pavimenti, è la stessa cosa."
"non proprio..."
"mi fai parlare???"
e disse a roberto che lei era chiara di nome e di fatto, la pelle aveva "sete di melanina", ma non moriva "disidratata" (roberto non capì molto, stava pensando alla roma, comunque, per la cronaca, chiara era "chiara", ma non troppo). capelli scuri e un paio di occhiali le davano il giusto tono un po' intellettuale, ma non troppo che carlo cercava. era magra, ma non non troppo. potrei descriverla per ore e continuare ad ammorbare con un'improbabile lezione di anatomia su chiara, ma sinceramente non credo sia il caso, lasciamola a carlo, la sua descrizione anatomica, ché la conosce, ha gli occhi a cuoricini (vi ricordate hello spank? uguale a lui) quando la vede (sono uno stronzetto sarcastico, me ne rendo conto, ma in fondo sono un buon amico). mi limiterò a citare indirettamente solo una cosa che devo dire le fa onore: la sua caratteristica era quella di essere fottutamente normale. e questo la rendeva speciale.
alla fine carlo si era stufato di certi tipi come la tipa di cui parlava roberto che erano "un po' l'opposto" di quello che lui veramente voleva. ripeto, non che non ci fosse stato bene. ma, ora, aveva una nuova vita.
comunque, chiara aveva questo bel paio di occhi castani che quando sorrideva le si illuminavano, e questo piaceva a carlo, che si perdeva nei suoi discorsi che reputava interessanti sempre e comunque.
una volta, a me, per esempio, raccontò di aver portato avanti con lei un acceso dibattito sulle padelle antiaderenti. se avessi avuto il porto d'armi gli avrei sparato. o forse mi sarei sparato, e non va bene! non sono discorsi che vanno da qualche parte...quei discorsi lì, sulle padelle, muoiono...stavo raccontando? ah già. i discorsi di chiara, ma non solo quelli lo rapivano, il nostro carletto mi sa che si era proprio innamorato. di nuovo. ma stavolta, stavolta eh, era vero, eh, lo disse anche a roberto. no, vabbè, stavo scherzando. oppure no? (vabbè, ora vado. comunque io, che sono solo un amico di carlo, non impazzisco per chiara. la follia la lascio a lui, sperando che sia una follia "ragionata")

[to be continued? non so quello che capiterà a me tra dieci minuti...quindi...]

5 ottobre 2010

A matter of empathy (storia vera, dal titolo inglese, ma dallo svolgimento italiano)


voglio raccontarvi una storia. direte "che novità!", ma questa è una storia diversa, è una storia vera. una storia che parlerà di un sentimento che forse esiste, forse no. sto parlando dell'empatia.

lo scenario:

ok. io vivo in una città piccola siamo 60000 anime, circa, per quelli che l'anima ce l'hanno ancora e a queste 60000 bisogna chirurgicamente sezionare gli abitanti della città alta (storica) dalla città bassa (commerciale e industriale). ah per la cronaca io abito nella città bassa, e non voglio fare campanilismi. non è la sede adatta.

dicevo. quando hai quattordici anni e non hai un motorino l'unica cosa che puoi fare per muoverti è o diventare un maratoneta e muoverti by yourself o prendere l'autobus che ti porta sopra, in collina, per fare una camminata lungo il corso (le cosidette "vasche").
ebbene quel giorno, guardacaso, lasciai perdere la maratona e presi l'autobus per salire. c'era (e c'è ancora, e mi ha fatto specie rientrare in quel posto dopo nove anni e trovare gli stessi proprietari, UGUALI, tranne la ragazzina che io chiamavo "trilly" e che ora non è più ragazzina, molto carina, direi) un bar, al centro di una piazzetta, di cui non posso dirvi il nome, ma mi limiterò a dire che questo posticino:

  • è diventato un bar di moda (e sono contento)
  • è situato davanti al liceo classico e affianco ci sono i portici e la camera di commercio, e dietro i templi romani. chi è del posto avrà capito.

ma non è questo il punto. il punto è che ci si ritrovava per prendere un caffè o se eri più spavaldo una birra perché sì, "avevi quattordici anni". quel giorno non volevamo dimostrare nulla a nessuno, e perciò optammo per il caffè. ad un certo punto ci accorgemmo che un tizio, si era rivolto a noi dicendo che avevamo l'età di suo figlio, e che suo figlio stava male. lo ignorammo, quasi, si sa cos'è la diffidenza (che è una brutta bestia, e purtroppo lo ignorai pure io, mi vergogno a dirlo, tuttavia mi incuriosì), ma quando, dopo cinque minuti si avvicinò e ci offrì tutto quello che era sul tavolo perché lo avevamo ascoltato decidemmo di starlo a sentire.

un reietto. un rifiuto, secondo la società, almeno. era alto, un armadio, barba sfatta e mascella definita, se non sbaglio aveva anche il suo nome tatuato, ed indossava una maglietta a maniche corte, e un paio di pantaloni, bianchi entrambi. alcolizzato, da quello che ci diceva, e lui si girava i bar della città alla ricerca ogni volta del suo "nettare vitale". una storia abbastanza triste, se contate che era caduto in depressione da quando suo figlio stava male. ancora più triste, se pensavate al paragone con una sorta di fantasma condannato fino alla fine a subire.

ora, io ero amico di altra gente rispetto ad ora, ma la cosa che mi colpì, fu la predizione che mi diede...mi guardò negli occhi e disse "tu, un giorno scriverai, e la gente leggerà, e io, mi ricorderò di te quando leggerò il tuo nome". io volevo fare il giornalista, o comunque scrivere, e lui me lo aveva predetto. fu un momento di grande empatia, alla quale credo, anche se alcuni la reputano una boiata pazzesca.

vi rendete conto? questo tizio che conoscevo da venti minuti mi aveva già capito e gente che conoscevo da una vita (relativamente, che "vita" è una vita lunga quattordici anni? troppo acerba per definirla vita) stentava ad inquadrarmi.

ora, sono passati nove fottutissimi anni e questa frase me la ricordo come se ce l'avessi davanti, nico, ché così si chiamava. io non so chi era, nico, non lo vidi più se non un'altra volta, e io lo chiamai e lui mi riconobbe. in nove anni, una volta sola. mi piacerebbe sapere che fa, e magari mi piace pensare, che, forse, lui stia leggendo queste pagine e stia dicendo "avevo ragione". magari suo figlio sta bene ora. magari lui non beve più. magari si ricorda ancora. mi piace pensare tutto questo, perché questa è una storia vera.

(questa storia è venuta fuori l'altro giorno parlando con michele_d, che mi ha ricordato di quando gli raccontai quel fatto. grazie, michè.)

4 ottobre 2010

Metro_Poli_Tan


[...]li' dentro era tutto un altro mondo, un mondo che non aveva cielo. Il cielo era la terra che sovrastava la sua testa. Si osservava intorno cercando di capire perche', in un attimo, tutto era cambiato. Luce a parte, le persone camminavano in coda, correvano o si intrufolavano in qualcosa che li facesse fuggire pernonsodove. La frenesia era talmente tanta che la gente non faceva caso a niente, guardava nel vuoto, o osservava le direzioni delle linee che doveva prendere per arrivare in chissaqualeposto. L'aria che si respirava laggiu' era diversa, non che puzzava, era surreale...surreale come i volti delle persone che raccontavano, nella loro breve permanenza, un pezzo della loro storia. Storie belle, storie brutte, storie che finivano ed altre che stavano iniziando o trasformandosi in qualcosa di diverso.

Era incuriosito da quello che stava, nel suo cuore, provando, e si sedette su una di quelle panchine che erano consumate dalla usura della loro delirante vita. Si accese una sigaretta e ricomincio' a guardare la realta' che gli scorreva intorno.

In questo mondo diverso da quello di fuori, anche i suoni sembravano diversi, erano suoni di stress, velocita', di voci. Cupi.Una sorta di cassa di risonanza che portava tutta la sua irrequietezza fuori. Non c'era giorno e non c'era notte, solo i grandi orologi scandivano il passare del tempo, tutto uguale in quel posto. Uguale come il clima, dettato solo dalla gente che subiva il suo gioco all'esterno.
Aveva tanto da raccontare quel posto, ma ormai la metro stava arrivando, e con occhi attenti a qualsiasi particolare, entro' e ando' via anche lui in chissaqualeposto.[...]

19 settembre 2010

bussando alle porte dell'heaven's door (un "capolavoretto")


chiara non sapeva che carlo lo incontrava tutti i giorni, lì, in quel posto dove lei lavorava, e per dieci euro delle volte riusciva a trovare "capolavoretti" della musica di altri tempi. lei lavorava all'heaven's door, (come un pezzo della canzone di bob dylan e quale nome migliore per un negozio di dischi). e così carlo, "bussava" a giorni alterni lì. e la signorina del bancone non era solo la signorina del bancone ma era la sua musa e il blog aveva incominciato a scriverlo proprio perché non aveva il peso di una rosa, ché la roba che ci scriveva era impalpabile, ma comunque era un modo per farle capire che lei, cazzo, lei c'era dentro in ogni parola.
e in effetti questa curiosità un po' adolescenziale di conoscere questo tizio che si firmava solamente C. lei ce l'aveva. non gli dava un volto, c'era solo una silohuette, sul blog (hitchcockiano, vero?) e mai avrebbe pensato che quel tizio che per caso era entrato un giorno chiedendo un disco dei dramarama ci entrava dentro quella silohuette e tirava via la a, poi la r, l, la o e aggiungeva un punto davanti a quella C.
il guaio è che carlo, quando scriveva sul blog, la personalità che lui parcheggiava su internet nella vita reale, no, nella vita reale proprio non ci riusciva a portarla fuori.
avrebbe dato il mondo via, se ne fosse stato il leggittimo proprietario, per rimangiare e digerire la personalità che vomitava sulle quelle fredde e impalpabili pagine elettroniche. l'affaire oscuro era che lui era un emotivo. non di quelli che si tagliava e che diceva "ommioddiochemondodimerdalasofferenzaèpartedime". semplicemente uno che aveva il groppo in gola quando parlava di lei e con lei. ancor prima che la conoscesse. ancor prima che avesse un volto. lei era tutto quello che carlo aveva domandato a non so chi o cosa come persona da avere al suo fianco, perché sì, se la sarebbe presa subito, chiara, e non l'avrebbe lasciata andare più.

tutto qui.

[una cosa, il disco che aveva comprato carlo, giusto per essere precisi, era "cinemé verité", ché aveva sentito questa e gli era proprio piaciuta]

15 settembre 2010

il Mercato delle Donne...


la mattina del mercato, quello che si fa una volta a settimana (spero solo una volta, che per me e' gia' abbastanza)e' una gara tra donne, in tutti i sensi. La quantita' che e' presente farebbe invidia a qualsiasi harem sulla terra, 3000 donne in meno di 15 mq!!! Lo loro presenza, in alcuni casi fondamentale, si ripercuote sulle orecchie degli ignari passanti, il piu' delle volte uomini, che tra i discorsi, i sussuri e le richieste, escono da quello luogo, intontiti e frastornati.
La possibilita' dell'affare stuzzica l'orecchio e l'occhio di qualsiasi donna passi ad un raggio di
1km, per questo motivo spesso, in questi giorni comincia un esodo immane di giovani, menogiovani ed anziane signore. Quest'ultime spesso anche se non in gran forma escono muniti di bastoni vari e rispettivi mariti. Si i mariti. Sono gli unici uomini, a parte i passanti, che camminano tra le fila delle bancarelle. Hanno tutti la stessa faccia, anche se di eta' diversa, sono un misto tra il rottodicazzo e il frastornato. In una parola esasperati. I loro occhi si girano intorno, trovando un modo per potersi distrarre, per poter far correre in maniera piu' veloce il tempo. La distrazione migliore e' quando osservi una scena che poi puoi raccontare, sorridendo. Come di quella anziana signora che approfittando della folla, taccheggiava le bancharelle senza che nessuno se ne accorgesse. Il suo stile direi era impeccabile perche' capace chiacchierare con altre signore, servirsi per poi andarsene con il "bottino" lametandosi della folla in continuo aumento....la grandezza della sua busta faceva pensare che non era la prima bancarella della giornata, un po' come il suo modus operandi che indicava una certa professionalita' in materia...
...racconti a parte, il mercato e' anche fonte di grandi rallentamenti, dovuti alla momentanea dimenticanza dell'evento settimanale. Spesso ci si ricorda un attimo dopo essersi messo in ingorgo immane di auto. Che porta via un sacco di tempo, perche' chi cerca di evitare di perdere tempo al suo interno si trova a perderlo nei pressi di esso...

10 settembre 2010

alter ego (racconto mio, o non lo so)


era passato qualche tempo da quel viaggio e carlo, dopo averla rivista, aveva cominciato a scrivere, ed era diventato un blogger di successo, sai, con il meccanismo del passaparole, due amicizie giuste e un bel po' di pubblicità: ogni pezzo dei suoi interventi aveva un minimo di lei. lui così, sembrava una persona vissuta, uno che dalla vita aveva preso e dato batoste, in realta non ne sapeva nulla. in realtà era ancora un ragazzo, benché la barba che portava non denunciasse la sua età ma i suoi anni + qualche decina di mesi in più.
il fatto è che questo tipetto qui che tanto si atteggiava sul web a pseudoeroe che riscattava i "nonsocchì" da una vita menagrama era vittima delle sue paure. non era patetico, quando scriveva, non cercava perlomeno di esserlo, tanto non doveva vendere le sue idee e comunque si sarebbe sentito sporco, lui che odiava il patetismo di certi film pieni di acronimi e tivvibi.

un pezzo dei suoi racconti diceva così: "presi il telefono e la chiamai, poi abbassai di nuovo e poi ricomposi il numero -avrei giurato che fossi tu prima - -ero io, era caduta la linea - . ero bravo a mentire" carlo, in realtà era davvero bravo a mentire, tanto da essersi creato un personaggio nella vita virtuale. non che non fosse almeno una buona metà di quella persona che apparisse, i sentimenti c'erano tutti, ma comunque aveva bisogno di un "alter ego" che lo aiutasse a tirare fuori tutte quelle emozioni che nella vita reale non si riescono a tirare. fino a quando lui e l'alter ego divennero la stessa persona, e così, lui che nel frattempo decideva ogni tanto di incontrare qualche fan, effettivamente si mostrava così com'era, ed era la stessa persona, e i fan (e le fan) non ne rimanevano deluse.
e così, piano piano, passarono tre anni. tre anni cavolo. il ricordo di lei si spense, e il blog lo prese, e lo coltivò con gelosia insieme ad altre persone, tenendolo al riparo dalle "intemperie" (critiche, giuste, costruttive, ma sempre critiche) mosse da chi diceva che era troppo serio o a volte troppo stupido e che fuori o faceva caldo o faceva troppo freddo e che i politici di oggi sono tutti ladri e altri luoghi comunissimi detti solo per dare aria alle mosche che regnano nel cervello di alcune persone.

carlo aveva tutto, apparentemente, in quel momento. in realtà non ci stava. non ci stava perché quel senso di equilibrio lo aveva raggiunto in tempi troppo tardi e aveva da recuperare, da andare avanti. parliamoci chiaro: del successo non gli fregava una cippa, non prendeva un euro da quello che scriveva, gli avevano proposto di mettere alcuni banner su quel blog, ma sarebbe stato come tradire la passione che gli mostravano i fan, la sua piccola famiglia allargata. e ora doveva riversare la sua vita "virtuale", come gli yogurt ai frutti di bosco della muller, nella vaschetta della vita reale, e fonderle di nuovo, facendo attenzione a non farle cadere, e ad assaporare ogni singolo cucchiaio. era difficile, anche perché nello yogurt mancava qualcosa, mancava un po' di zucchero. ce lo avrebbe messo a breve, e quel qualcosa di zuccheroso capitò ben presto, prima che lo yogurt scadesse. fu allora che si rese conto di poter, finalmente, sorridere, e mostrare denti e lingua a tutti, non solo per mordere.

ciò che sostitui ben presto il barattolino di gelato nei pomeriggi afosi o la cioccolata calda in quelli invernali e la sigaretta nei momenti difficili ebbe allora un nome: chiara, e il nome diceva tutto. lei non aveva alter ego, lei era così, come la vedevi, se riuscivi a vederla, perché non a tutti si mostrava e carlo fu felice di riuscire a capire che il petto, il petto che lei aveva, era sempre più in plexiglass, trasparente, e riuscì a vedere il suo cuore.

[ora, non mi importa se sono stato serio, sdolcinato, romantico, patetico, spero non patetico per favore, o altro. è un racconto. ispirato da qualcosa di vero? può essere. partiamo dal presupposto che io non sono carlo, ma mi chiamo francesco, poi non posso dirvi, sta a voi capire quanto sia vero questo racconto e quanto, invece, carlo sia un "alter ego" immaginario. buona ri - lettura, se vi fa piacere.]

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