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8 novembre 2012

Una storia. La mia.




Questa “cosa” doveva essere inviata (in tempo) ad un concorso che si faceva qui intorno.  Ma (voi lettori) conoscendo l’autore sapete che (come al solito) se ne è ricordato in ritardo.

Sapeva una cosa: aveva trovato qualcosa di unico.  Un tesoro che solo lui avrebbe apprezzato; non perché altri non erano stati capaci di vederlo ma solo perché ognuno non gli aveva dato il giusto valore. Passo dopo passo pensava alle cose dolci successe nella serata. Alle risate, ai gesti timidi, agli sguardi intensi e allo stare abbracciati per il gusto di farlo. Pensava alle parole dette e non cercando di trovare quel qualcosa che avrebbe potuto far svanire tutto. Senza riuscirci.
Il freddo della notte non lo scalfiva, l’unica brezza che percepiva era quella che gli faceva smuovere qualcosa dentro. Non lo colpiva il sentimento provato ma l’intensità dello stesso, la forza impetuosa che quella serata aveva compiuto. L’immaginazione aveva già costruito regni, cosa comune a tutti e particolarmente viva in lui. Non erano distanti i metri che separavano le due case e quella passeggiata appena accennata gli dava modo di mettere in ordine i pensieri, Morfeo avrebbe pensato al resto.  Aprire il portone di casa è come svegliarsi da un sogno alla fine, sapeva di averlo vissuto e tornare alla realtà un po’ lo incupiva. Guardò lontano cercando di scorgere la sua casa nascosta da un’altra, senza riuscirci. Chiuse il portone di casa e fischiettando un vecchio jingle per le scale, pensava alla magia di quella sera con la paura che presto si sarebbe svegliato da un sogno.

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