[...] e, sai, io mi ricordo di questo tizio qui, che aveva trentacinque anni e aveva preso quando ne aveva diciotto e aveva detto "ciao ciao" alla sua terra. beh, questo tizio era stato piantato in senegal, e lì era cresciuto, ma dato che non c'era più spazio per lui se n'era andato via e aveva trovato l'america in america. lavorava per un negozio di grandi firme, nonostante fosse "nero", nonostante fosse "diverso" (!) e guadagnava 4000 (quattromila? quattromila!) dollari al mese e aveva la bella bella sensazione che il suo sogno si stesse realizzando. incontrava gente di tutti i tipi: si sa, new york è il meltin' pot (crogiuolo, che parola buffa) del mondo. la sua vita era stata cambiata in base a quello che diceva il suo istinto (ché, in fondo, siamo tutti animali, e gli animali hanno l'istinto, lo diceva pure merlino che era così, quindi credetegli, a quel merlino là) ed era proprio contento di aver inseguito il sogno ed averlo realizzato. ma poi, poi gli è venuto in mente di entrare in italia e qui da noi, si sa, non è l'america. ora, senza scadere nel "luogocomunismo", si sa che il nostro paese (che ora è anche il suo) è un po' con la puzza sotto al naso, e questa puzza sì che si sente, e quindi si trovava a dover lavorare prima come ambulante, a fare il lavoro con cui etichetteremmo, da stupidi, tutti gli appertenenti al continente africano, e cioè vendere i cd e poi come una sorta di "metronotte da campeggio" in cui evitava che gli ospiti piantassero grane ad altri ospiti. ma stava bene, cazzo. stava bene. e gli piaceva la sua vita. e lo sapete perché? perché aveva inseguito i suoi sogni e non aveva dato retta a chi gli consigliava di lasciar perdere ché, secondo gli altri, era una follia.
(mi immagino, questa cosa qui, che la racconterò tra dieci anni. in realtà l'ho saputa qualche giorno fa, e meritava, secondo me, di essere scritta.)