Avrei dovuto immaginarlo che non era normale. Avrei dovuto sentire la puzza di bruciato appena messo piede qui dentro. Ma sono una sognatrice, un'inguaribile romantica, e all'idea di poter collaborare con una delle maggiori agenzie di comunicazione della mia città non ho fatto caso alle note stonate.
Porto il curriculum e il titolare vuole conoscermi così su due piedi: mi affida "come prova" un lavoro che mi porta via un intero fine settimana perché gli serve in tempi rapidissimi.
Mi chiama poi per un lavoro di naming, promettendomi che se la cosa andrà in porto mi farà un contratto a progetto. Inizio così a frequentare abitualmente lo studio.
Accanto a questo lavoro, me ne affida altri. Scopre che non so solo scrivere, ma che uso anche i programmi di computer grafica, così mi affida anche altri mini-progetti.
Un bel giorno mi prende in parte e mi dice che al momento l'agenzia non ha liquidità e che non può pagarmi, ma che se ho pazienza un mese poi sarò inquadrata: perché credono in me, perché vogliono sfruttare le mie capacità e potenziare le mie conoscenze. Io accetto: non solo perché tanto non ho di meglio da fare, ma anche perché in fondo credo in quest'avventura.
I primi sospetti che qualcosa non quadri arrivano alla spicciolata.
Il capo è abilissimo a rivoltare le frittate, condendole con retorica da cabaret così raffinata e roboante da stordire l'interlocutore.
Le promesse sono sempre di più, come i soldi che ci sto rimettendo in benzina, e più il tempo passa più le promesse vengono rimesse in gioco con puntate sempre più alte. Ma il piatto piange.
Dovrei essere nera per questi dettagli che tanto piccoli non sono, ma in realtà li accetto con rassegnazione. Il ridicolo è che sono incazzata per quello che sento come la presa per i fondelli assoluta.
Al colloquio, mi chiede cosa stessi leggendo: "Persi in un buon libro", di Jasper Fforde, rispondo. Lui ammicca, per la serie "sì lo conosco non devi spiegarmi chi è".
Dopo qualche tempo, lui si vanta di non leggere un romanzo da anni - perché poverino si affeziona così tanto ai protagonisti che arrivato alla fine gli sembra di perdere degli amici e ci sta tanto male.
Toccatemi tutto, ma non i miei libri. La mia stima su una persona si basa anche su quello che legge: non sono così spocchiosa da non rivolgere la parola a chi non ha mai aperto un libro in vita sua ma se mi dici che ti piace leggere ti aggiudichi dieci punti in più. Se conosci Fforde, di punti ne guadagni cento.Se millanti letture che non fai, nella mia classifica scenderai in caduta libera fino all'ultimo girone degli inferi, senza rete di sicurezza, senza paracadute.
Sì, caro, ti sono capitata su un vassoio d'argento nel momento del bisogno. Sì, ti sembro ricattabile perché non ho alternative. Sì, ti sembro ingenua e per questo ti senti forte.
Ma non hai capito che *ti vedo*: vedo la tua piccolezza nascosta dall'aria fritta di cui ti circondi, vedo i tuoi difetti, vedo i tuoi punti deboli. Vedo che vivi delle vecchie glorie ma che per questo sei rimasto fermo a dieci anni fa, mentre i tuoi concorrenti girano con l'i-pad. Vedo che non sei tu a poter ricattare me, ma il contrario: perché senza di te non perdo nulla, ma io, qui da te, non sono sostituibile. Quella è la porta e nulla mi trattiene.
Come diceva Dennis Hopper in Speed, che cosa fai? Tu, che cosa fai?!?
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28 febbraio 2011
25 febbraio 2011
Delay Three: chiavi in mano!

Il telefono squillava, in mezzo ad una catasta di carte, introvabile come al solito. Indaffarato davanti al computer, continuai il mio lavoro. Lavorare in un istituto di credito, certe volte ti isola dal mondo reale. Si diventa talmente alienati dalla realta', che tutto cio' che ti succede intorno scompare. Ed anche se i rumori rimangono definiti, preso da quello che scorre davanti ai tuoi occhi, non conta nulla.
Termino' dopo lungo tempo il fastidioso trillare, dando a quel silenzio un gusto prelibato, anche se l'eco continuava silente a rimbombare nelle orecchie. Passo' del tempo quando il telefono ricomincio' con il suo assilante suono, e questa volta piu' per fastidio che per necessita' risposi.
- Ancora a lavoro? Pensi che faresti in tempo a prendere Luca dalla piscina? Spero di si' *click*
Mia moglie mi diceva che mio figlio mi aspettava dopo il suo allenamento. Fuori pioveva a dirotto e lei mi aveva appena comunicato che imbottigliata nel traffico non sarebbe riuscita ad essere li' in tempo.
Dovevo avviarmi, dato che ci avrei messo un po' ad arrivare. Spensi il computer e, voltandomi intorno, mi accorsi che solo io e la donna delle pulizie eravamo rimasti a lavorare. Presi il cellulare che era ad un palmo da me ed infilai la giacca. Come ogni volta controllai se avessi tutto per poter uscire. Le chiavi. Non trovavo le chiavi. Cominciai a cercare tastando le carte che erano sulla scrivania, e controllando per bene ogni singolo angolo. Era come se si fossero di colpo smaterializzate. Mi giravo intorno, cercando di ricordare se le avevo viste da qualche parte. Niente. La mia pazienza cominciava a vacillare. Fuori pioveva come non mai. Mio figlio tra un po' sarebbe uscito pronto a ficcarsi in macchina. Macchina che non avrebbe trovato se prima non avevo recuperato cio' che mi permetteva di avviarla.
Con gesti veloci e impulsivi cercavo dovunque potessero andate a finire, in quel mini-bunker che era il mio ufficio. Con la coda dell'occhio vidi qualcosa scintillare nel fascicolo che nel pomeriggio avevo messo a posto. Erano li. Senza riordinare il casino che il mio ufficio era diventato, uscii di corsa.
Era tardi: lo sapevo, ma continuavo a pensare che anche mio figlio tra uno scherzo ed una chiacchiera avrebbe perso del tempo nello spogliatoio. Intanto schizzavo per le vie della citta' cercando di essere li' nel minor tempo possibile.
La pioggia non aveva desistito un momento di venir giu' e voltandomi nel parcheggio della piscina vidi Luca, completamente bagnato. Lui era uscito in tempo...
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