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17 maggio 2011

Day by Day


Ci sono giorni in cui rimani a letto, a guardare il soffitto. I pensieri ti scorrono nella testa senza soluzione di continuita'. Fermo e con gli occhi chiusi apprezzi il leggero respiro del silenzio.

Ci sono giorni in cui resti a casa, senza uscire e senza che nessuno riesca a convincerti a farlo. Giorni in cui dedichi tutto il tempo a te stesso, al tuo studio, al tuo divertimento, al totale fancazzismo. Stravaccato e comodo, sia nei vestiti che nei modi, apprezzi il delicato piacere di vivere senza tempo.

Ci sono giorni che hai mille cose da fare, in un tempo alquanto limitato. Cose che hai accumulato e a cui non puoi dir di no. Indaffarato e attivo apprezzi l'amaro gusto delle ore che scorrono senza sosta, come un fiume in piena.

Ci sono giorni che sei in tre nazioni nel corso di 24 ore. Ore che hai viaggiato seduto, in piedi o accovacciato con la stanchezza sempre addosso e le ossa "fracassate". Provato ed esausto apprezzi il dolce sollievo del riposo.

Ci sono giorni che non succede nulla. Ma proprio nulla. Sono in quei giorni che apprezzo meglio gli altri.

(questo post e' stato scritto dieci giorni orsono, in un estenuante viaggio in aereo)

27 dicembre 2010

meet me in montauk.


l'altro giorno ero in macchina, aspettando che arrivasse una persona e poi, poi mi sono accorto di quanto il tempo passi velocemente. ma la memoria resta. ed è giusto così. no?


24 novembre 2010

ventisei minuti ventisei.



ho 26 minuti ventisei per scrivere prima che la batteria del portatile mi pianti in asso. e così pensavo di scrivere un pezzo in cui si parli del poco tempo a disposizione che uno ha quando deve fare qualcosa. tipo quando hai bisogno di batteria e non hai alimentazione per il portatile. se potessi, gli compreresti un omogeneizzato, ma lo stomaco, no, non ce l'ha. e così, mi trovo a parlare dello "sfasamento", passatemi il termine, che avviene ogni volta in cui all'improvviso passi "sinusoidalmente" dall'avere pochi istanti da dedicare a te stesso all'avere troppo tempo da dedicarti. io, comunque, non voglio dedicarmi troppo tempo, non mi voglio frequentare, non sono il mio tipo. dicevamo? e nel frattempo mi squilla il cellulare...sì?...sì, l'ho fatto, tranquillo, sì, sì, ci vediamo tra poco ciao. ecco ci si mette un imprevisto. non so come dirlo ma ciao.

19 ottobre 2010

...in Ritardo.[in_loop]

Immagine, gentilmente presa in prestito da Stefano Calisti

Non sembra vero ma mi succede spesso. Troppo spesso. Di fare ritardo. Ma non farlo, di costruirmelo proprio. Proprio come quando si monta un mobile Ikea con tanto di istruzioni.
Capita che cominci a programmare da quanto tempo prima devi iniziare a prepararti. Ma spesso i programmi saltano per sciocchezze. Come un bagno impegnato, una scarpa che non trovi o meglio la perdita momentanea di orologi, chiavi e cellulari...
Tutto questo se va bene ti fa perdere intorno a 5 minuti, nel peggiore dei casi (cioe' in situazioni combo bagno+scarpe+chiavi) ti fa perdere il doppio del tempo, facendoti innervosire terribilmente.
La cosa potrebbe finire qui....ma in queste situazioni, al ritardo non c'e' fine....perche' se esci in macchina, trovi o il cretino che sta facendo una manovra semplicissima ma con grande fatica, oppure (il peggiore) quello che cammina in citta' a 10kmh in una strada trafficata o a senso unico.
In quel momento sai che non puoi farci niente, ma guardi l'orologio in continuazione, come se il tempo lo volessi fermare.
Ed in quel mentre, immagini l'imbarazzo del momento in cui arrivi, a quello che puoi e non puoi dire, e preghi che non sia l'unico a cui sono capitate tutte quelle sventure...
Se pero e' un treno ad aspettarti e non una persona...beh la cosa cambia...nonostante in quei casi ti avvii per tempo, spesso dimentichi di non considerare quella serie di sfortunati eventi che possono capitarti.
Immagino ai ritardi di eventuali bus o ai semafori, tutti rossi...ma in questo caso, la serie non si fermerebbe qui, perche' puo' capitare che la fila per prendere il biglietto e' a dir poco colossale.....e speri che non ci sia quello che ci mette tempo, o il bigliettaio lento...ma spesso capita che li trovi entrambi...
...Capita pero', anche, che guardi l'orologio e pensi che hai tempo...ed invece, l'ora coincide con quella in cui dovevi essere pronto...beh in quel caso sei...

[questo post e' stato scritto il 4 ottobre, e tra una cosa e l'altra, e' stato pubblicato come se non bastasse...in ritardo]

5 ottobre 2010

A matter of empathy (storia vera, dal titolo inglese, ma dallo svolgimento italiano)


voglio raccontarvi una storia. direte "che novità!", ma questa è una storia diversa, è una storia vera. una storia che parlerà di un sentimento che forse esiste, forse no. sto parlando dell'empatia.

lo scenario:

ok. io vivo in una città piccola siamo 60000 anime, circa, per quelli che l'anima ce l'hanno ancora e a queste 60000 bisogna chirurgicamente sezionare gli abitanti della città alta (storica) dalla città bassa (commerciale e industriale). ah per la cronaca io abito nella città bassa, e non voglio fare campanilismi. non è la sede adatta.

dicevo. quando hai quattordici anni e non hai un motorino l'unica cosa che puoi fare per muoverti è o diventare un maratoneta e muoverti by yourself o prendere l'autobus che ti porta sopra, in collina, per fare una camminata lungo il corso (le cosidette "vasche").
ebbene quel giorno, guardacaso, lasciai perdere la maratona e presi l'autobus per salire. c'era (e c'è ancora, e mi ha fatto specie rientrare in quel posto dopo nove anni e trovare gli stessi proprietari, UGUALI, tranne la ragazzina che io chiamavo "trilly" e che ora non è più ragazzina, molto carina, direi) un bar, al centro di una piazzetta, di cui non posso dirvi il nome, ma mi limiterò a dire che questo posticino:

  • è diventato un bar di moda (e sono contento)
  • è situato davanti al liceo classico e affianco ci sono i portici e la camera di commercio, e dietro i templi romani. chi è del posto avrà capito.

ma non è questo il punto. il punto è che ci si ritrovava per prendere un caffè o se eri più spavaldo una birra perché sì, "avevi quattordici anni". quel giorno non volevamo dimostrare nulla a nessuno, e perciò optammo per il caffè. ad un certo punto ci accorgemmo che un tizio, si era rivolto a noi dicendo che avevamo l'età di suo figlio, e che suo figlio stava male. lo ignorammo, quasi, si sa cos'è la diffidenza (che è una brutta bestia, e purtroppo lo ignorai pure io, mi vergogno a dirlo, tuttavia mi incuriosì), ma quando, dopo cinque minuti si avvicinò e ci offrì tutto quello che era sul tavolo perché lo avevamo ascoltato decidemmo di starlo a sentire.

un reietto. un rifiuto, secondo la società, almeno. era alto, un armadio, barba sfatta e mascella definita, se non sbaglio aveva anche il suo nome tatuato, ed indossava una maglietta a maniche corte, e un paio di pantaloni, bianchi entrambi. alcolizzato, da quello che ci diceva, e lui si girava i bar della città alla ricerca ogni volta del suo "nettare vitale". una storia abbastanza triste, se contate che era caduto in depressione da quando suo figlio stava male. ancora più triste, se pensavate al paragone con una sorta di fantasma condannato fino alla fine a subire.

ora, io ero amico di altra gente rispetto ad ora, ma la cosa che mi colpì, fu la predizione che mi diede...mi guardò negli occhi e disse "tu, un giorno scriverai, e la gente leggerà, e io, mi ricorderò di te quando leggerò il tuo nome". io volevo fare il giornalista, o comunque scrivere, e lui me lo aveva predetto. fu un momento di grande empatia, alla quale credo, anche se alcuni la reputano una boiata pazzesca.

vi rendete conto? questo tizio che conoscevo da venti minuti mi aveva già capito e gente che conoscevo da una vita (relativamente, che "vita" è una vita lunga quattordici anni? troppo acerba per definirla vita) stentava ad inquadrarmi.

ora, sono passati nove fottutissimi anni e questa frase me la ricordo come se ce l'avessi davanti, nico, ché così si chiamava. io non so chi era, nico, non lo vidi più se non un'altra volta, e io lo chiamai e lui mi riconobbe. in nove anni, una volta sola. mi piacerebbe sapere che fa, e magari mi piace pensare, che, forse, lui stia leggendo queste pagine e stia dicendo "avevo ragione". magari suo figlio sta bene ora. magari lui non beve più. magari si ricorda ancora. mi piace pensare tutto questo, perché questa è una storia vera.

(questa storia è venuta fuori l'altro giorno parlando con michele_d, che mi ha ricordato di quando gli raccontai quel fatto. grazie, michè.)

15 settembre 2010

il Mercato delle Donne...


la mattina del mercato, quello che si fa una volta a settimana (spero solo una volta, che per me e' gia' abbastanza)e' una gara tra donne, in tutti i sensi. La quantita' che e' presente farebbe invidia a qualsiasi harem sulla terra, 3000 donne in meno di 15 mq!!! Lo loro presenza, in alcuni casi fondamentale, si ripercuote sulle orecchie degli ignari passanti, il piu' delle volte uomini, che tra i discorsi, i sussuri e le richieste, escono da quello luogo, intontiti e frastornati.
La possibilita' dell'affare stuzzica l'orecchio e l'occhio di qualsiasi donna passi ad un raggio di
1km, per questo motivo spesso, in questi giorni comincia un esodo immane di giovani, menogiovani ed anziane signore. Quest'ultime spesso anche se non in gran forma escono muniti di bastoni vari e rispettivi mariti. Si i mariti. Sono gli unici uomini, a parte i passanti, che camminano tra le fila delle bancarelle. Hanno tutti la stessa faccia, anche se di eta' diversa, sono un misto tra il rottodicazzo e il frastornato. In una parola esasperati. I loro occhi si girano intorno, trovando un modo per potersi distrarre, per poter far correre in maniera piu' veloce il tempo. La distrazione migliore e' quando osservi una scena che poi puoi raccontare, sorridendo. Come di quella anziana signora che approfittando della folla, taccheggiava le bancharelle senza che nessuno se ne accorgesse. Il suo stile direi era impeccabile perche' capace chiacchierare con altre signore, servirsi per poi andarsene con il "bottino" lametandosi della folla in continuo aumento....la grandezza della sua busta faceva pensare che non era la prima bancarella della giornata, un po' come il suo modus operandi che indicava una certa professionalita' in materia...
...racconti a parte, il mercato e' anche fonte di grandi rallentamenti, dovuti alla momentanea dimenticanza dell'evento settimanale. Spesso ci si ricorda un attimo dopo essersi messo in ingorgo immane di auto. Che porta via un sacco di tempo, perche' chi cerca di evitare di perdere tempo al suo interno si trova a perderlo nei pressi di esso...

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