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5 luglio 2011

Il complesso di Layana®

C'erano una volta, tanto tempo fa, un re e una regina che avevano una figlia bellissima, ma che ai loro occhi aveva un difetto: era nana. Per non farle vivere una vita di derisioni ed evitarle di essere trattata come uno scherzo della natura, la rinchiusero in un castello inaccessibile: Layana crebbe circondata da una corte di nani come lei e si convinse che il palazzo fosse il Mondo.
Le voci fanno presto a girare e così i principi della regione vennero a sapere di una bellissima fanciulla rinchiusa in un castello: non ci misero molto a corrompere i nani che fecero uscire la principessina.
Probabilmente nemmeno sentì le risate di scherno dei principi cretini: Layana fu sconvolta nello scoprire che il Mondo era molto di più di quello che lei aveva creduto e, compreso che là fuori nessuno l'avrebbe accettata, si gettò dalle mura.
I nani vennero trasformati in statue e ancora oggi se ne stanno a sghignazzare sulle mura del palazzo.

Questo narra la leggenda di Villa Valmarana detta "ai Nani": e io credo che la maledizione si sia abbattuta su tutti gli abitanti di Vicenza, convincendoli di essere nani.
Non trovo altra spiegazione a quegli esempi di grandiosità e monumentalità vicentini, che in realtà sono a malapena a misura di bambino.
C'è il parco dei monumenti, in una zona così infelice che lo rende accessibile solo a chi porta a spasso il cane, avventurosi pisciatori di animali da appartamento costretti ai pericoli del traffico pur di trovare un fazzoletto d'erba. Lì si trovano diversi "cosi" che in altro modo non si possono chiamare, ecco forse "installazioni" di marmo dedicate vuoi all'Europa Unita, vuoi ai martiri di tal guerra, vuoi al poeta di turno.
C'è poi in centro, un po' fuori rispetto al corso principale, un altro monumento, dedicato agli alpini, costituito da una pseudo-montagna su cui sono collocati dei pseudo-ometti. Certo, tutto è relativo, quindi non metto in dubbio che sia un'installazione imponente. Vista da una formica.
Vogliamo parlare della toponomastica? Monte Berico: un colle alto poco più di 100 (cento) metri.
A pochi passi dal centro, c'è l'Everest (sic), una torre che i vicentini definiscono grattacielo e che in effetti potrebbe anche essere il palazzo più alto della città. Ma da qui a considerare una grande altezza i suoi 17 (sic!) piani ce ne vuole.
Sono reduce da una visita alla Torre e "reduce" è la parola adatta visto che ho rischiato la vita nell'ascensore che mi ha portata all'undicesimo piano: tutto uno scricchiolio e una vibrazione, quando si sono aperte le porte ho fatto come il Papa. E al ritorno, a piedi!
La persona che dovevo incontrare era tutta entusiasta della collocazione dell'ufficio:
- Allora, cosa te ne pare?
- Ehm, non è proprio un grattacielo, ma per gli standard di Vicenza è altino...
- Eh, sembra quasi New York!

-.-''

30 aprile 2011

moments.


ho dei momenti in cui voglio star solo (e non alludo a quando espleto le mie funzioni corporee)
ho dei momenti in cui rido (e non alludo a quando sto in posa nelle foto)
ho dei momenti in cui parlo (e non alludo a quando provo il microfono per skype)
ho dei momenti in cui piango (e non alludo a quando sbuccio le cipolle)
ho dei momenti in cui corro (e non alludo a quando sono in palestra)
ho dei momenti in cui sono stanco (e non alludo a quando riposo)
ho dei momenti in cui sono nervoso (e non alludo al calcio)
ho dei momenti in cui ghigno (e non alludo alla mattina, davanti allo specchio, lavandomi i denti)
ho dei momenti in cui frigno (e non alludo all'esser bambino)
ho dei momenti in cui "cigno" (e non alludo al dover far per forza rima, ma "fate vobis").

ho dei momenti.

che spesso manco io capisco.
forse è per questo che li scrivo. forse no. in ogni caso, è bello sapere che ci sia qualcuno che li "ascolti" o "legga" non solo per il semplice gusto di "farsi i cazzi altrui", vero?

15 marzo 2011

considerazioni. /2

ci vorrebbe un terremoto tipo giappone nella mia testa, per poter spostare di 10 cm l'asse di rotazione della mia personalità, magari senza tutti quegli effetti devastanti, su cose e persone.

12 dicembre 2010

abitudine.

appuntamento domenicale.

ancora una volta nel letto.
ancora una volta con un po' di mal di testa.
ancora una pausa dopo aver messo, giusto per non sentirsi in colpa, la testa sui libri, quando volentieri avresti voluto tenerla sul cuscino.

portatile in braccio scrivo questo post, come quasi ogni domenica. abitudinario? può darsi. ma ciò non significa che faccia schifo. personalmente la buona abitudine non è, a mio avviso, quella di "mangiare uno yogurt al giorno" oppure qualsiasi cosa dalle proprietà organolettiche diverse da zero, per me la buona abitudine è qualcosa di molto meno complesso: è qualcosa che ti piace, che ti fa stare bene.

c'è chi corre.
c'è chi scrive.
chi va a defecare ogni mattina alla stessa ora.
c'è chi canta.
c'è chi fa venti flessioni, chi ne fa cinquanta.

quale di questi hanno una buona abitudine? tutti. c'è anche quello che fuma alle otto di mattina. per me anche quella è buona abitudine (che è diverso da corretta, la correttezza è oggettiva, la bontà è soggettiva).

vabbè. chiudiamo qui la discussione filosofica. oggi il mio pezzo della giornata, che credo assumerà un tenore abbastanza stupido, è questo. enjoy.




6 dicembre 2010

come in un cerchio. (con le diramazioni, però.)



[...] "perché se poi ci pensi è come un cerchio in cui sono state costruite tante diramazioni che, volente o nolente ti riportano sulla via principale. la vita è tipo una nuvola di punti collegati tra di loro costruiti intorno a quel benedetto cerchio di cui ti parlavo e la cosa bella è che puoi andare solo avanti e questo va bene, ma poi ci sono momenti in cui, cazzo, vorresti tornare indietro ed è come se ci fossero degli omini agguerriti in antisommossa che ti spingono nell'altra direzione. e comunque, prima o poi, al punto di partenza ci torni. è un cerchio no? boh, non lo so, mi demotiva alquanto sapere che forse è tutto scritto, che alcune parole che non hai mai pronunciato sono già state dette da qualcun altro, che, forse, non ho libertà di scelta e che i momenti in cui sono rovinato vergognosamente a terra, anche quelli, erano già decisi. in ogni caso vado avanti, sperando che la "regia" si inventi qualcosa di meglio rispetto ai film che ha già girato e che non ancora mi fa vedere..." [...]

[in cerchio. in loop. le situazioni si ripropongono. per fortuna purtroppo, come il titolo di un album di una cantante italiana, che ora, purtroppo - senza per fortuna - si è ridotta a pubblicizzare cioccolatini al caffè.]

considerazioni.

è incredibile, certe volte, con le persone giuste, bastano 1 chilo di bucatini, un po' di polpette, una bottiglia di quello buono, e un sacco di risate per capire che, massì, la vita ti offre degli spunti abbastanza interessanti.

2 dicembre 2010

non ci potevo credere quando ho scoperto che...


non ci potevo credere quando ho scoperto che babbo natale non esisteva.
non ci potevo credere quando ho scoperto che molto spesso una persona è diversa da quello che sembra (e lo puoi dire così :) oppure così :( ).
non ci potevo credere quando ho scoperto che mio nonno mi aveva donato la sua macchina.
non ci potevo credere quando ho scoperto che ero riuscito a prendere quel pezzo di carta che me la fa portare la macchina.

non credevo in tante cose che poi sono successe. perché? perché sono un pessimista del cazzo. e lo dico, almeno sono sincero con me e con gli altri. però l'euforia e la gioia di sapere che un "desiderio in cui non speravi" si è avverato, quella lì, è favolosa, come tuttavia, in contropartita, il "veder crollare un mito". c'est la vie.

28 novembre 2010

ermUtismo.


potrei chiamare così l'infinità di parole che sono racchiuse in un solo gesto. e proprio perché è tale la potenza di questo neologismo, non ne spendo altre, di parole.

20 novembre 2010

tipo.




"hai presente?...tipo una droga.

...tipo una musica che non riesci a toglierti dalla mente.

...tipo un'idea geniale, tipo un brivido.

...tipo un giramento di testa.

...tipo il pogo in mezzo alla folla.

...tipo un paio di quintalate di mattoni addosso.

...tipo che hanno acceso il fuoco sotto la sedia.

...tipo che tu pensavi che non sarebbe successo più.

...tipo un pezzo della tua band preferita.

...tipo l'albero di natale fatto in tempo.

...tipo il giorno del tuo compleanno.

...tipo un renoir, visto da dentro, però.

...tipo tante cose.

...tipo l'altro giorno che ridevo in maniera un po' stupida."

"eh, tipo."

19 novembre 2010

decisioni. (da domani...)



ho deciso: da domani cambio registro. sono arrivato all'ultima pagina del foglio presenze.

ho deciso: da domani nuova vita. ne sarà contento il mio chirurgo estetico.

ho deciso: da domani cambio radicale. meglio pannella o la bonino?

ho deciso: da domani, causa crisi, mi do alla macchia. lavorerò per la henkel.

ho deciso: da domani, qui, obbligo di svolta. reggimi il cartello stradale, please.

ho deciso: da domani più incisivo. mi faccio incapsulare un dente.

ho deciso: da domani si cambia musica. nel frattempo, beccatevi questo.



17 novembre 2010

capita. capìta?



capita di dover sbagliare. capita di dover dire "se avessi potuto, avrei fatto".
capita di dover pensare che "questo" e "quello" potevano essere "oggi" e "domani" e invece non sono una cippa.
capita di dover sorridere, e ridere, quando da ridere non c'è un cazzo, ma va bene, cavolo se va bene.
capita, poi, se non ridi abbastanza, di convincerti che, cavolo, sei come un pezzo di nick cave: profondo, ok, non scontato, ok, ma a tratti pesantuccio, e quindi finisce che poi, massì, ridi comunque.
capita poi che ti fissi su di un punto "seduto in quel caffè" (e non stavi pensando ad una canzone di battisti) e poi ti si incrociano gli occhi e quando arriva la "ragazza del caffè" ritorni nel tuo mondo (che, poi, vorrei sapere qual è il mio mondo, se quello degli occhi incrociati o quello "reale").
capita che poi delle volte ti sembra di essere nel mondo reale ma poi ti accorgi che hai aperto gli occhi e sono ancora le quattro e mezzo del mattino e allora li richiudi, sospiri e "buonanotte, ci vediamo tra qualche ora".
infine, capita di dire che le cose, tutto sommato è così, vanno "alti e bassi", anzi "bassi e alti", tipo funzione sinusoidale, e se prima capisci che hai toccato il fondo ora si risale e poi "wuuuuu! giù in picchiata! senza mani!" e poi di nuovo in alto (sperando di non avere problemi di stomaco).

(capita anche di capire che, per quello che capita, la vita va capìta per quello che è, e poi, quando lo capisci, scatta in sottofondo una sonora risata e, massì, dal disco di nick cave che eri diventato, torni ad essere una persona un po' meno sulle tue.)

[se avete voglia, passate qui, è un blog che ho scoperto da poco e, a discapito del nome, non è patologico, anzi. ah un'altra cosa: sì, me gusta, e spero anche a voi.]

16 novembre 2010

il silenzio.



(nella foto, un gatto disturbato dal rumore.)

il silenzio non esiste.
il silenzio, meglio, il silenzio assoluto non esiste.
esiste la tranquillità, il rumore di sottofondo, ma non il silenzio. ne volete una prova?
entrate in una stanza, una stanza "silenziosa", un qualsiasi posto purché lo reputiate tranquillo. ora concentratevi e cercate di scovare i rumori. io stesso sono in una stanza che verrebbe definita silenziosa, ma sento il rumore dei tasti che si abbassano mentre scrivo, mio zio che parla (urla, la sua voce è a +40db rispetto alle altre), i rumori esterni, e tutti quei rumori di sottofondo che provengono dagli abitanti della casa. ciò, oltre a dimostrare la validità della mia teoria (so che c'è chi ne fa solo una questione linguistica, ma io, purtroppo, no) conferma pure quella "roba" di cui parlava aristotele (e non un vippettino di uomini e donne), e cioè che l'uomo è un animale sociale. questo, credetemi, anche se ad alcuni risulterà difficile, è un bene.

28 ottobre 2010

la geniale invenzione dell'apparire educati (come se fosse antani.)


ma quanto siamo perbenisti? ditemelo...quanto lo siamo? capita anche a voi di dover esprimere un concetto davanti ad una persona (un concetto estremamente complesso, non lo schema della vostra squadra preferita in champions league) e di guardare come quella persona, per educazione, ci risponda "è chiaro" quando poi non ha capito un beneamato della vostra teoria.
allora che succede? lì scatta la pietà: capisci che lui non l'ha capita e rispieghi il tutto. e senti un "ah!" ed è lì che quel suono ti conferma che avevi ragione.
ma perché cavolo dobbiamo essere educati? perché non possiamo dire "non c'ho capito un cazzo" eh? perché non possiamo comportarci seguendo il nostro istinto? oppure ci sono: altra occasione. io faccio una battuta, la persona ride, a stento, e trenta secondi dopo scoppia in una risata. perché? perché ci vergognamo di dire che non capiamo nulla? ma soprattutto, quando vediamo che qualcuno non capisce dovremmo "capire che è il momento di far capire"...chiaro no? (ne sono sicuro.)



17 ottobre 2010

grazie, wilson


non voglio essere politicamente corretto. non mi va. anche se credo che risulterò esserlo con questo post.

quando è capitato, un po' di tempo fa, ormai, di voler intraprendere nuovamente (ché l'avevo già intrapresa un'altra volta, ma causa esame di maturità e forse troppa poca maturità, non che ora ne abbia abbastanza, è terminata in maniera brusca e prematura) questa avventura, in compagnia anche di altra gente (e forse è anche questo che mi fa andare avanti, motivato) ero entusiasta. e lo sono anche ora, eh.

ero entusiasta, perché? perché avevo davanti a me la possibilità di trarre spunto da ciò che mi circondava per produrre qualcosa, qualcosa che era diverso dal dipinto o dalla canzone o anche dal libro. e per questo mi interessava e mi appagava. cosa alimenta questa possibilità? il fatto di vivere in un mondo, non deserto, cioè di non essere in un'isola stile cast away abitata da tom hanks e wilson, ma di avere intorno a me gente, di incontrare gente, di vedere gente, di sentire la scia d'aria che lascia, la gente.
ecco, grazie a lei (la gente) posso trovare lo spunto per scrivere i miei post, racconti o semplici scritti brevi con un esito apparentemente fine a sé stesso. apparentemente.
il paradosso? scrivere per un blog è un momento di solitudine che sfocia (altro paradosso) in un momento di incredibile comunità. e se ci pensate è fantastico, è fantastico vedere come due cose che cozzano come la solitudine e la moderna idea di "community" si equilibrino in un connubio perfetto.

una cosa mi sono accorto che ho imparato a fare, da quando ho intrapreso nuovamente questo "hobby serio": ad ascoltare, e a vedere (non a guardare, a vedere, capite la sottile differenza?). questo perché intorno a me, o tangentemente, accadono avvenimenti che mi colpiscono o anche che mi accarezzano e meritano di restare impressi. dato che la macchina fotografica non ce l'ho a portata di mano e che raccontarli è a volte troppo poco o lesivo di quella che chiamano privacy ma che credo sia più appropriato chiamare "diritto al cassetto personale della memoria", ho cominciato a "criptarli". e nascono così i post, che raccontano in maniera più o meno fedele, o anche "parafrasata" quello che ho vissuto anche in terza persona. forse nascere non è neanche il verbo più adatto: i post non piangono quando nascono, a volte fanno piangere prima, o meglio fa piangere ciò che è successo e che è stato criptato nel post stesso (e non è detto che non siano lacrime di gioia).

e così, un po', mi sento grato a tutti i "wilson" che mi fanno compagnia e, massì, facciamolo, ringrazio anche me stesso perché delle volte mi sento un po' tom hanks e la mia isola deserta, il blog, è quel "posto felice" di cui parlava il dr. cox in scrubs e in cui, davvero, nessuno può scalfirmi.

[c'è chi, di produzioni letterarie, ne ha fatto un blog, che per caso ho scoperto e che mi ha colpito. è questo qui]

18 settembre 2010

(io) di notte


non lo so perché. ma la notte mi trasmette intimità.
di notte succedono sempre le cose migliori (e peggiori), ma sicuramente quelle indimenticabili e, a volte, quelle che vorresti dimenticare.
forse è tutto questo silenzio,
forse è che gli occhi che sono presenti nel tuo mondo in quel momento sono tutti chiusi,
forse è che esiste questa mania del dover rendere per forza più speciale di quello che già è un avvenimento.

non lo so.

io di notte abbasso le difese.
io di notte non sono più un acido.
io di notte ascolto, parlo, consiglio, piango, mi interrogo e marzullianamente mi faccio una domanda non sempre dandomi una risposta.

eppure, eppure, di solito quando si abbassano le luci in uno spettacolo (o c'è il buio e poi i titoli di coda, in un film) è perché è finito tutto. invece di notte c'è lo spin - off della mia vita (potremmo chiamarla la cosidetta "untold story", la storia che nessuno o pochi sanno).
la notte è quella cosa che non sai perché esista, ma alla fine, serve solo a capire, a volte, cosa ti perdi ad aver voluto chiudere gli occhi, invece di fare lo sforzo di non parcheggiarti in un angolino per riaccenderti il giorno dopo.

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