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2 marzo 2011

Delay Five:di bisogno in bisogno


Lorac aveva trovato la donna della sua vita. Era felice. In una maniera assurda, indescrivibile, camminava praticamente con un sorriso stampato in faccia da mattina a sera. Non lo scalfiva niente, nessuna offesa, nessun dolore ne' fisico ne' mentale. Ormai Cahira aveva preso completamente il suo cuore. E tutto questo era palesamente visibile. Estremamente visibile. Lorac era un tipo molto schivo e molto introverso, tendenzialmente malinconico. Ma tutto questo lo aveva cambiato, rendendolo socievole e perennemente sorridente.
Cahira si era innamorata del suo fascino da poeta maledetto e lui della sua fresca bellezza mai troppo edulcorata.
Cahira studiava Scienze Politiche a M., e quel weekend a B. era bastato per conoscere Lorac, anche lui studente, ma di Lettere. Si erano conosciuti ad un concerto e per poi rivedesi i giorni a venire. Purtroppo se il tempo normalmante scorre, quello con passato con qualcuno di speciale va via in un attimo.

Lorac, sorridente come non mai, pensava a quello che poteva mettersi addosso per poter salutare la sua Cahira per darsi appuntamento a M. Mentre passeggiava per casa, ascoltava musica a volume alto, senza pensare a chi stava dormendo e a chi stava studiando. Una camicia sarebbe andata benissimo. Era in largo anticipo, strano per lui, ma non voleva perdersi neanche un secondo con lei. Avrebbe fatto una passeggiata. Bevve un bicchiere di latte e ando' via.
Il sole rischaiarava la giornata e rendeva piacevole tutto. Anche i bambini che con i loro schiamazzi era stati da lui sempre odiati, ora non davano fastidio. Anzi quel framitio di voci lo mettevo ancor di piu' di buon umore. Camminando si fermo' a bere un caffe', in modo da dar piu' senso a quella sigaretta che avrebbe fumato prima di arrivare alla stazione. Fumo'. Con fare deciso comincio' ad allungare il passo per arrivare in anticipo all'appuntamento.
Qualcosa non andava. Cominciava a sentir dolore alla pancia. Perche' proprio ora?Perche'? Giusto: caffe' e sigaretta. Cocktail micidiale. Doveva trovare un bar. O meglio un bar con un bagno. Piu' camminava piu' si sentiva male. Doveva decidersi. Il primo bar . Lo vide e entro'.Il bagno era libero, ed anche se le condizioni non erano le migliori, per come si sentiva, furono sufficienti. Doveva correre se voleva trovarsi in tempo con Cahira. Usci' di corsa biascicando un grazie, e poi via verso la sua meta. Era quasi arrivato, quando un altro attacco lo colpi'. Non ci penso' due volte, entro in un cafe' e chiede del wc. Comincio' a maledire tutto cio' che non aveva maledetto giorni addietro. Quando fu in strada si rese conto che era tardi. Molto tardi.
Arrivo' in stazione, si precipito' sul tabellone delle partenze. Vide sconcertato che Cahira era partita circa 5 minuti prima. Non ci poteva credere. Non voleva crederci.
In quel istante il suo telefono vibro'. Era un sms di Cahira.
"...pensavo di aver trovato una persona speciale....il tuo non esserti presentato mi ha fatto capire che non ti interessa niente.....addio."

23 ottobre 2010

conseguenze.


"come diavolo hai potuto?"
"è stato un momento di debolezza, carlo..."
"...fottiti. anzi, a quello ci penserà qualcun'altro, credo. e dire che..."
"ti prego, capiscimi..."
"capire cosa? e dire che ci ho perso anche del tempo. pensavo che quel viaggio avesse cambiato qualcosa. pensavo che tu fossi cambiata in qualcosa. già, in effetti è vero: sei peggiorata. e la cosa che mi fa ribrezzo è che hai giocato con i miei sentimenti, mi hai illuso, ché già lo sapevi che io non ti avrei dimenticato, almeno per un po'. che saresti stata tu il chiodo fisso per un bel po' di tempo...sai quanto?"
"no. non lo so." (scocciata)
"due anni. due fottutissimi anni. e "spiccioli", naturalmente."
"stai messo male".
"no, sei tu che sei messa male. se riuscissi a guardarti allo specchio troveresti che sei diventata una persona spregevole".
"ma, cazzo, un attimo di debolezza, dai...non volevo..."
"però l'hai fatto. e non esiste "non volevo" o "attimi di debolezza": hai fatto così, te ne ciucci le conseguenze. non sono il tuo "bambolo gonfiabile", cara mia."
"'fanculo carlo."
"esci dalla mia vita. ora."
"avrai un grande vuoto."
"lo riempirò, credimi, e non sentirò di certo la tua mancanza."

(e poi arrivò chiara. carlo aveva ragione.
la tizia si era anche permessa, per la cronaca, di tirare uno schiaffo al povero carlo, giusto perché di merda, quel povero cristo, ne aveva ricevuta poca addosso, eh.
non so cosa faccia, lei, ora: è sparita. a me non interessa, tuttavia. men che meno al nostro carlo. giusto per essere chiari.)

9 ottobre 2010

un paio di converse da diecimila lire, del mercato. (due caffè e una capanna.)

"ci fermiamo qui?"
"perché no, carlo, dai."
passò qualche minuto e arrivò la tizia degli ordini.
"due caffè?" (carlo)
"due caffè." (chiara)
"due caffè..." (carlo)
"due caffè. (la tizia degli ordini).
(trenta secondi di pausa.)
"bene. ora siediti ed ascoltami. sono qui, davanti a te, ed un po' la cosa mi da' i nervi e i brividi, ché nonostante queste parole le abbia studiate e ristudiate ora non mi vengono proprio. ho un blocco in gola. le mie corde vocali sono a traffico limitato."
"dimmi, carlo, dimmi."
"beh, non è semplicissimo. non avevo voglia di caffè. ho troppa caffeina addosso e nelle vene. sono diventato uno sponsor ambulante della mokambo (che, in aggiunta, per me la mokambo fa anche un caffè che fa schifo...tu non lo bevi senza zucchero e un po' tutti i caffè così sono mascherati, ma il mokambo fa proprio schifo eh...)"
"mi hai chiamata per farmi una lezione sui pregi e difetti del caffè?" (e intanto arrivarono e sbrigò lui la questione del conto, non senza un acceso dibattito sulla parità dei diritti femminili e quindi la rivendicazione di chiara dell'offerta del caffè. quel giorno, intanto, a malincuore, non aveva il diritto di pagarlo, quel caffè. eravamo rimasti? ah, si "una lezione sui pregi e difetti del caffè?")
"no."
"...immaginavo eh. arriva al punto." (pausa "celentaniana", accompagnata da un bicchiere d'acqua buttato giù, manco fosse whisky)
"ascolta, è un po' di tempo che ci conosciamo. e ci siamo conosciuti in un modo strambo. la voglia di blog che ho stampata in faccia ha portato frutti marci e buoni. tu sei uno di questi".
"un frutto marcio?" sorrise.
"no, chiara, non fare la scema" sorrise anche lui. "un buon frutto. un frutto dolce". (carlo si sentiva un po' sdolcinato in quel momento...che gli stava succedendo?). "ascolti i pain of salvation?"
"i pain of salvation? carneade, chi era costui?"
"odio quella battuta e odio quel romanzetto."
"stiamo parlando del primo romanzo della storia, porta rispetto".
"sì, vabbè, ora non fare come roberto, che non mi fa parlare, ché già è difficile".
"beh, dai, dicevi?" (con un tono tra il sarcastico e l'interessato).
"dicevo che questi qui, questi pain of salvation, hanno fatto una canzone bellissima. si chiama second love."
"...e quindi?" (sembrava gli volesse tirare fuori le parole di bocca)
"beh sai in questa canzone c'è lui che da quando se n'è andata non riesce più a dormire, e si tormenta e..."
"roba allegra, quindi..."
"eh." (infastidito variegato triste e con crema allo "sguardo in basso".)
"vai avanti."
"bene. quel tizio lì sono io. io non dormo più la notte. ormai vado avanti con le canzoni. da samuele bersani ai pain of salvation passando per tracy chapman, arrivando persino a toccare gli slipknot (sì, lo so, sono brutti, sporchi e incazzati, ma sotto sotto sono dei teneroni...)"
"...non li conosco."
"li conoscerai."
"il piacere sarà mio." (carlo adorava l'ironia di chiara)
"ok, allora, le cose stanno così: la notte io non dormo. e penso a te. io sto davanti al pc e penso a te, per strada cammino e penso a te..."
"...versi inediti di battisti?"
"finiscila. ché già è difficile. mi sento un brufoloso quindicenne in questo momento. anzi, i quindicenni di ora sono un po' più sfacciati. mi sento un brufoloso quindicenne degli anni novanta. ho sotto questa polo una camicia a quadrettoni di flanella e sotto a questi jeans un paio più malandato e candeggiato accompagnato da un paio di converse (le scarpe di pippo, non quelle di ora, quelle che prendevi a diecimila lire al mercato, per intenderci)... il punto è che...io mi sono accorto che tu sei diversa. sei diversa da quell'altra. sei diversa da tante altre. e sei anche diversa da me, anzi non diversa: sei complementare. e io ero rimasto a metà, ché l'altra metà se l'era portata via un'altra persona, rubandola e senza nemmeno chiamare per un eventuale riscatto, ma poi sei arrivata tu con la tua "personalità e mezzo", e mi hai riempito. cerco di essere meno da "via col vento" possibile, non mi piace il patetismo, ma sostanzialmente c'è il fatto che tu mi piaci" (e improvvisamente carlo si sentì il viso pieno di acne giovanile)
"mi sono spuntate le trecce, mi è venuto fuori un grembiulino e le gambe storte, mi sento un po' bambina, sai?"
"non voglio essere infantile e non voglio che tu ti senta trattata in questo modo"
"no, non voleva essere una critica. è solo che...solo che non mi lasci indifferente come un soffio di aria che mi sfiora e dopo di che rimane nulla (che poetessa, vero?), neanche il ricordo di quel soffio. è che sei un po' di più di un soffio d'aria. ma io non so chi sei. io non posso dirti di conoscerti. qualche mese non può farti conoscere solo che un pezzo di quella persona."
"ascolta, chiara. io non mi sto mettendo ai saldi. non nascondo i difetti di fabbrica del prodotto per poter essere comprato dalla prima persona che passi. io sono un pezzo fuoriserie, solo per te. e non voglio che nessun'altra mi prenda."
"wow."
"wow? mi stai prendendo in giro?"
"sì, un po' sì, mi diverte vederti in imbarazzo, ma non sono così brutta dentro per dire che un po' non mi dispiaccia..."
"...e?"
"...e c'è che tu sei diverso dagli altri, e questo lo avevo capito, parlando seriamente. spero solo che la personalità che tiri fuori sulla rete non sia uno "stato d'essere fantoccio", ma che tu sia davvero così...io ora non so che dirti."
(una tonnellata di mattoni in testa a carlo, in questo momento)
"mi stai tagliando fuori?"
"al contrario. io voglio capire meglio chi è carlo."

[due settimane dopo carlo e chiara erano diventati un personaggio mitologico androgino a due teste e un cuore solo...dopo che, una sera, con il pretesto di una cena, come i cani si erano annusati intorno per un paio d'ore e poi era successo quello che era successo.]




8 ottobre 2010

...oppure no? (chiara. molto chiara. quasi abbagliante, a mio avviso...)

"ehi la roma questa domenica non è andata proprio eh...li vedo un po' troppo demotivati. e poi, poi una squadra con quel modulo non so...è inconcludente..."
"...ho conosciuto una tizia"
"grazie per la considerazione eh. stavo parlando. dai non ce la faccio. non sto nella pelle. dimmi come si chiama. non lo vedi come trepido? sono impaziente come un blocco di marmo. e intanto la roma se ne va per la tangente..."
"comunque grazie eh, meglio la roma che carlo. vabbè, me la sto segnando. se ti stessi rivelando il decimo segreto di fatima (a quanti siamo...tre?) tu mi diresti "non posso, c'è la roma!"
"falla finita. sei un escremento di permalosità. e, dimmi, come si chiama la tizia?"
"sei un amico. oltre ad essere uno degli autori del galateo eh. comunque...chiara."
"ma chi...chiara moretti? la nostra compagna che seguiva il corso, un po' di tempo fa, ché lo sappiamo solo noi cosa abbiamo fatto per uscire da quel bucodiculo di università, dai, il corso di marini?"
"no, no, quella altro che chiara, quella è chiara solo di nome! quella è nera come la pece, dentro si intende eh, ché se la vedessi diresti che è un'irlandese"
"ah beh. ascolta, chiara moretti è un certo discorso, anche "abbastanza serio", non so se capisci, secondo me...comunque cos'è 'sta storia della scura dentro? sei un po' patetico lo sai? un po' non ti riconosco carlè..."
"no vabbè, è una vita che mi conosci robè, prima l'università e poi tutta 'sta storia qui del lavoro e poi il blog e tante altre cose, ma sai che c'è di nuovo? c'è che chiara è diversa..."
"lo dicevi pure di quella lì, quella del viaggio, che ci hai sprecato ore e neuroni per colpa sua."
"senti, "quella lì", come la chiami tu, è un frammento che non posso buttare né rinnegare. è...passata. punto. e non ci penso nemmeno più. vabbè sì, un po' il ricordo c'è ma, per dire, il cane non si può sbarazzare della coda, se la porta sempre dietro, no?"
"i pincher non hanno la coda."
"era per dire..."
"lo hai detto in maniera orrenda, ma lo hai detto, questo è vero..."
"vabbè robè. non interrompermi. ti dicevo..."
"si ma questa qui la conosco?"
"no."
"dimmi che fattezze ha, allora."
"oggesummio! fammi parlare. ti ricordo che per quanto era interessante per te mi hai paragonato ad un blocco di granito."
"marmo."
"granito, marmo. non vendo pavimenti, è la stessa cosa."
"non proprio..."
"mi fai parlare???"
e disse a roberto che lei era chiara di nome e di fatto, la pelle aveva "sete di melanina", ma non moriva "disidratata" (roberto non capì molto, stava pensando alla roma, comunque, per la cronaca, chiara era "chiara", ma non troppo). capelli scuri e un paio di occhiali le davano il giusto tono un po' intellettuale, ma non troppo che carlo cercava. era magra, ma non non troppo. potrei descriverla per ore e continuare ad ammorbare con un'improbabile lezione di anatomia su chiara, ma sinceramente non credo sia il caso, lasciamola a carlo, la sua descrizione anatomica, ché la conosce, ha gli occhi a cuoricini (vi ricordate hello spank? uguale a lui) quando la vede (sono uno stronzetto sarcastico, me ne rendo conto, ma in fondo sono un buon amico). mi limiterò a citare indirettamente solo una cosa che devo dire le fa onore: la sua caratteristica era quella di essere fottutamente normale. e questo la rendeva speciale.
alla fine carlo si era stufato di certi tipi come la tipa di cui parlava roberto che erano "un po' l'opposto" di quello che lui veramente voleva. ripeto, non che non ci fosse stato bene. ma, ora, aveva una nuova vita.
comunque, chiara aveva questo bel paio di occhi castani che quando sorrideva le si illuminavano, e questo piaceva a carlo, che si perdeva nei suoi discorsi che reputava interessanti sempre e comunque.
una volta, a me, per esempio, raccontò di aver portato avanti con lei un acceso dibattito sulle padelle antiaderenti. se avessi avuto il porto d'armi gli avrei sparato. o forse mi sarei sparato, e non va bene! non sono discorsi che vanno da qualche parte...quei discorsi lì, sulle padelle, muoiono...stavo raccontando? ah già. i discorsi di chiara, ma non solo quelli lo rapivano, il nostro carletto mi sa che si era proprio innamorato. di nuovo. ma stavolta, stavolta eh, era vero, eh, lo disse anche a roberto. no, vabbè, stavo scherzando. oppure no? (vabbè, ora vado. comunque io, che sono solo un amico di carlo, non impazzisco per chiara. la follia la lascio a lui, sperando che sia una follia "ragionata")

[to be continued? non so quello che capiterà a me tra dieci minuti...quindi...]

19 settembre 2010

bussando alle porte dell'heaven's door (un "capolavoretto")


chiara non sapeva che carlo lo incontrava tutti i giorni, lì, in quel posto dove lei lavorava, e per dieci euro delle volte riusciva a trovare "capolavoretti" della musica di altri tempi. lei lavorava all'heaven's door, (come un pezzo della canzone di bob dylan e quale nome migliore per un negozio di dischi). e così carlo, "bussava" a giorni alterni lì. e la signorina del bancone non era solo la signorina del bancone ma era la sua musa e il blog aveva incominciato a scriverlo proprio perché non aveva il peso di una rosa, ché la roba che ci scriveva era impalpabile, ma comunque era un modo per farle capire che lei, cazzo, lei c'era dentro in ogni parola.
e in effetti questa curiosità un po' adolescenziale di conoscere questo tizio che si firmava solamente C. lei ce l'aveva. non gli dava un volto, c'era solo una silohuette, sul blog (hitchcockiano, vero?) e mai avrebbe pensato che quel tizio che per caso era entrato un giorno chiedendo un disco dei dramarama ci entrava dentro quella silohuette e tirava via la a, poi la r, l, la o e aggiungeva un punto davanti a quella C.
il guaio è che carlo, quando scriveva sul blog, la personalità che lui parcheggiava su internet nella vita reale, no, nella vita reale proprio non ci riusciva a portarla fuori.
avrebbe dato il mondo via, se ne fosse stato il leggittimo proprietario, per rimangiare e digerire la personalità che vomitava sulle quelle fredde e impalpabili pagine elettroniche. l'affaire oscuro era che lui era un emotivo. non di quelli che si tagliava e che diceva "ommioddiochemondodimerdalasofferenzaèpartedime". semplicemente uno che aveva il groppo in gola quando parlava di lei e con lei. ancor prima che la conoscesse. ancor prima che avesse un volto. lei era tutto quello che carlo aveva domandato a non so chi o cosa come persona da avere al suo fianco, perché sì, se la sarebbe presa subito, chiara, e non l'avrebbe lasciata andare più.

tutto qui.

[una cosa, il disco che aveva comprato carlo, giusto per essere precisi, era "cinemé verité", ché aveva sentito questa e gli era proprio piaciuta]

16 settembre 2010

il mio mondo è piatto.


"il mio mondo è piatto.

oppressione. questa storia che si ripete ogni giorno e non finisce mai, che lentamente credo che andrà a rovinarsi e che finirà per avere sempre la stessa, la stessa musica.
la compagnia la trovo sempre, c'è sempre la voce di qualcuno, quando io sono lì, e tutti mi ascoltano: eppure questo mio ruolo mi rimane in gola.
vorrei sentire i brividi sulla pelle, invece di darli ad altre persone.
io non capisco, davvero, non capisco cosa ci trovino in me, che sono esattamente così come appaio, ogni parola da me è sempre la stessa già sentita e risentita. qualcuno mi trova persino banale, altri mi definiscono semplice. io, credo che un po'abbiano ragione entrambi.

questo mondo a me mi sta stretto. questo mondo è piatto.
questa terra su cui vivo è un disco.
vorrei tanto uscire, uscire da questo mondo, ma la mia condanna è quella di girare intorno, fino alla fine, per poi ricominciare un'altra volta e un'altra ancora, non so quando, ma ripetere sempre la stessa cosa, fino a cadere (forse) nel dimenticatoio.

perdonate lo sfogo, una volta tanto voglio dire delle parole diverse da quelle che mi hanno detto altri di dire.

(sfogo personale di una ballata scritta, cantata, osannata e indimenticabile, potrebbe essere "knockin' on heaven's door" o qualche altro pezzone del genere) "

carlo aveva scritto questo pezzo sul blog. non credeva che nessuno avesse mai risposto. poi ci fu lei, chiara, che lasciò qualche parola buttata lì e disse "ecco perché a volte ci immedesimiamo nelle canzoni, perché sono uguali a noi, sono molto più umane di quello che pensiamo".
l'unica reazione di carlo, che credeva che quello che aveva scritto fosse una buona cagata, fu "uh." poi ci fu un brivido. e poi un sorriso. di cosa "brillava" chiara? "penso di luce propria" si rispose lui. e questa tizia l'aveva conosciuta, in carne ed ossa, e lei conosceva entrambe le persone: quella "virtuale" e quella "reale". ma non sapeva appartenessero allo stesso corpo. chiara si sentì come meg ryan in "c'è posta per te" quando capì che chi aveva davanti era lo stesso che seguiva con molta, ma non troppa, piacevole curiosità.

(se non hai idea di chi sia carlo o chiara dai un'occhiata qui e qui)

10 settembre 2010

alter ego (racconto mio, o non lo so)


era passato qualche tempo da quel viaggio e carlo, dopo averla rivista, aveva cominciato a scrivere, ed era diventato un blogger di successo, sai, con il meccanismo del passaparole, due amicizie giuste e un bel po' di pubblicità: ogni pezzo dei suoi interventi aveva un minimo di lei. lui così, sembrava una persona vissuta, uno che dalla vita aveva preso e dato batoste, in realta non ne sapeva nulla. in realtà era ancora un ragazzo, benché la barba che portava non denunciasse la sua età ma i suoi anni + qualche decina di mesi in più.
il fatto è che questo tipetto qui che tanto si atteggiava sul web a pseudoeroe che riscattava i "nonsocchì" da una vita menagrama era vittima delle sue paure. non era patetico, quando scriveva, non cercava perlomeno di esserlo, tanto non doveva vendere le sue idee e comunque si sarebbe sentito sporco, lui che odiava il patetismo di certi film pieni di acronimi e tivvibi.

un pezzo dei suoi racconti diceva così: "presi il telefono e la chiamai, poi abbassai di nuovo e poi ricomposi il numero -avrei giurato che fossi tu prima - -ero io, era caduta la linea - . ero bravo a mentire" carlo, in realtà era davvero bravo a mentire, tanto da essersi creato un personaggio nella vita virtuale. non che non fosse almeno una buona metà di quella persona che apparisse, i sentimenti c'erano tutti, ma comunque aveva bisogno di un "alter ego" che lo aiutasse a tirare fuori tutte quelle emozioni che nella vita reale non si riescono a tirare. fino a quando lui e l'alter ego divennero la stessa persona, e così, lui che nel frattempo decideva ogni tanto di incontrare qualche fan, effettivamente si mostrava così com'era, ed era la stessa persona, e i fan (e le fan) non ne rimanevano deluse.
e così, piano piano, passarono tre anni. tre anni cavolo. il ricordo di lei si spense, e il blog lo prese, e lo coltivò con gelosia insieme ad altre persone, tenendolo al riparo dalle "intemperie" (critiche, giuste, costruttive, ma sempre critiche) mosse da chi diceva che era troppo serio o a volte troppo stupido e che fuori o faceva caldo o faceva troppo freddo e che i politici di oggi sono tutti ladri e altri luoghi comunissimi detti solo per dare aria alle mosche che regnano nel cervello di alcune persone.

carlo aveva tutto, apparentemente, in quel momento. in realtà non ci stava. non ci stava perché quel senso di equilibrio lo aveva raggiunto in tempi troppo tardi e aveva da recuperare, da andare avanti. parliamoci chiaro: del successo non gli fregava una cippa, non prendeva un euro da quello che scriveva, gli avevano proposto di mettere alcuni banner su quel blog, ma sarebbe stato come tradire la passione che gli mostravano i fan, la sua piccola famiglia allargata. e ora doveva riversare la sua vita "virtuale", come gli yogurt ai frutti di bosco della muller, nella vaschetta della vita reale, e fonderle di nuovo, facendo attenzione a non farle cadere, e ad assaporare ogni singolo cucchiaio. era difficile, anche perché nello yogurt mancava qualcosa, mancava un po' di zucchero. ce lo avrebbe messo a breve, e quel qualcosa di zuccheroso capitò ben presto, prima che lo yogurt scadesse. fu allora che si rese conto di poter, finalmente, sorridere, e mostrare denti e lingua a tutti, non solo per mordere.

ciò che sostitui ben presto il barattolino di gelato nei pomeriggi afosi o la cioccolata calda in quelli invernali e la sigaretta nei momenti difficili ebbe allora un nome: chiara, e il nome diceva tutto. lei non aveva alter ego, lei era così, come la vedevi, se riuscivi a vederla, perché non a tutti si mostrava e carlo fu felice di riuscire a capire che il petto, il petto che lei aveva, era sempre più in plexiglass, trasparente, e riuscì a vedere il suo cuore.

[ora, non mi importa se sono stato serio, sdolcinato, romantico, patetico, spero non patetico per favore, o altro. è un racconto. ispirato da qualcosa di vero? può essere. partiamo dal presupposto che io non sono carlo, ma mi chiamo francesco, poi non posso dirvi, sta a voi capire quanto sia vero questo racconto e quanto, invece, carlo sia un "alter ego" immaginario. buona ri - lettura, se vi fa piacere.]

24 agosto 2010

un viaggio (racconto breve, anzi brevissimo)



carlo guardava fuori dal finestrino e ripensava "i'm leaving you for solitude" è molto retrò. la solitudine però era l'unica cosa che in quel momento gli serviva. le gallerie, con quelle feritoie, erano come delle crisi epilettiche dell'ambiente circostante: lucebuiolucebuiolucebuiolucebuio. neanche la puzza di urina stantia della cabina riusciva a distrarlo da quel concerto visivo. poi il concerto visivo finì e la puzza d'urina prese il sopravvento.
affianco a lui, un tizio, collassato, forse un emigrante, forse un militare il cui unico segno di vita fu un educato cenno con la mano (e non è sarcasmo, lo salutò davvero) e una palpebra aperta...era pure comprensibile, erano le sei e mezzo di mattina e carlo, su quel treno, quel tizio già ce l'aveva trovato. ma la storia di quel tipo lì non gli interessava, in quel momento. aveva da riordinare i cassetti della memoria. e così accese il lettore mp3, uno dei primi lettori, un ditoinculo da ottocentimetriperdueperdue, capacità un giga, era un cicchetto di musica rispetto alle intere bottiglie che si possono prendere, ma faceva il suo dovere ("alla fine" pensava carlo "bisogna accontentarsi delle piccole cose, se poi si migliorano, meglio, ma bisogna accontentarsi" e non aveva torto).
poi, dopo molto tempo, ci fu un momento in cui rumore di freni stridenti, bagagli che si lasciano abbandonare a mani e gravità, e gente che scende si mescolarono. si era arrivati, e se avesse potuto sarebbe sceso anche il treno da sè stesso.
"coraggio carlo" pensò.
scese dal treno. lei era lì. erano due anni e una serie di incomprensioni che non erano andate giù ad entrambi che li avevano tenuti lontani. poi il caso volle che lui si fosse trovato a dover rimanere qualche giorno lì, per motivi non ben precisi, che solo a dirli sembrano una scusa solo per arrivare al fine. ma veramente era stato il caso. poi carlo ci aveva messo del suo e aveva chiamato lei, di cui aveva ancora ben stampato nome cognome data di nascita e telefono (sperando non l'avesse cambiato, oltre che una serie di cose nei famosi cassetti della memoria).
"ciao", iniziò lui con un po' di imbarazzo.
"ciao"
"è bello rincontrarti dopo tanto tempo"
"e questa da quale delle tante canzoni che ascolti l'hai presa?"
"da te".

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