25 gennaio 2011
Nero e Tappeti.
Era lì, rosso. Venivo attratta dal tavolo e da come riuscisse a lasciare quel segno violaceo su ogni bicchiere. Corposo, brillante e fruttato, mai avevo assaggiato niente di paragonabile. Mi lasciai pervadere dal tepore che infuse nella mia gola, un'esperienza ultrasensoriale. In quel momento eravamo io e lui, e poco contava tutto il resto. La fugacità del mondo smise di appartenermi per un istante.
Panta rei: tutto scorre, solo allora capii davvero cosa significasse. Potevo estraniarmi dall'universo e bastava così poco. Il mondo avrebbe comunque continuato a ruotare.
Era una bevanda celestiale, un piccolo Paradiso in terra, un momento di meditazione, la pace dei sensi. Persino il Dalai Lama mi avrebbe compresa. Quel colore carminio così vicino al mio fluido vitale mi dava la sensazione di ingerire la vita. Dev'essere per questo che il vino fa buon sangue. I detti popolari non sono, poi, sempre frasi fatte.
Avvicinai il calice alle labbra, sapendo che sarebbero rimaste segnate da quello splendido colore. Il mondo avrebbe potuto percepire, così, il mio momento di pace. Il mio. Ma, ogni calice è un momento, ogni bicchiere un attimo e gli attimi appartengono a chi vuole viverli. Il mio gesto fu preannunciato da un brindisi, la condivisione di quest'incredibile esperienza. Ognuno con il proprio istante, ognuno con il proprio vino. I nostri problemi erano al di fuori di quella stanza, le nostre amarezze dietro la porta, le nostre preoccupazioni nei nostri appartamenti, sotto i nostri zerbini. Ma lì, lì, tutto era perfetto.
Le nostre papille gustative erano sotto attacco di piccole molecole di serenità. Iniziammo a chiacchierare, tutti insieme, senza gridare, di argomenti banali ed improbabili, impegnati e costruttivi.
Avevamo uno sguardo oggettivo sul mondo, uno sguardo distaccato dall'universo, potevamo giudicare senza essere giudicati, parlare senza essere contraddetti, pensare senza avere rimorsi.
Accompagnammo il tutto con una fantastica cena, i cui sapori non facevano altro che esaltare quel nettare prodigioso. Saremmo rimasti lì per sempre, con la presunzione di poter parlare per tutti, in tailleur ma spogli dentro di pregiudizi, di convinzioni, di restrizioni. Ci interessava solo comunicare fra noi. Comunicare fra noi, per portare al di fuori di quella stanza quest'esperienza quasi mistica. Tutti avrebbero dovuto sapere cosa riserbava quel denso Cabernet d'annata. Purtroppo, però, il tempo non si fermò davvero e intorno a noi la vita continuava a scorrere. Era ormai tardi, dovevamo tornare alle nostre vite, a riguardare sotto i nostri zerbini, a riprendere le preoccupazioni di un mondo effimero. Ma, eravamo pronti a guardarle in modo diverso, ad affrontarle con la tranquillità nelle vene, con il battito cardiaco regolare, con la consapevolezza che al mondo si vive per le piccole gioie e che di queste bisogna godere.
Tornammo a casa, ognuno per la propria strada, qualcuno in coppia. Ciascuno di noi verso la propria villa, il proprio appartamento, il proprio monolocale, il proprio castello, poco importava.
Arrivai di fronte al mio cancello. Aprii, entrai nel portone non elegante ma rispettabile, salii la rampa di scale che mi divideva dal mio letto.
Ero sulla porta. Diedi uno sguardo a terra. Lo zerbino. Lo sollevai e sotto non c'era nulla di quello che vi avevo lasciato. Sorrisi e andai a dormire.
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è incredibile cosa possa fare una serata con le persone giuste e un buon, contenuto, bicchiere. Più di una volta le mie serate hanno avuto questo corso, e questa fine. Però, forse, anch'io avrei dovuto guardare sotto quel tappeto...non trovi?
RispondiEliminaScrivi proprio bene, Rosibetti. Mi piace molto.
RispondiEliminaBeh, anche il vino, devo dire.
(Ho temuto, alla fine, che sotto lo zerbino avessi lasciato le chiavi. E' un'altra chiave di lettura: dove sei andata a dormire, esattamente?)
@cesco: tutti dovremmo guardare quel tappeto, solo per renderci le cose più semplici.
RispondiElimina@silas: Prima di tutto, grazie. Sono lusingata e contenta. L'importante è svegliarsi sempre a casa propria.