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28 febbraio 2011

Predicare e razzolare!


la coerenza...non è cosa da tutti!!

Piovuta dal cielo

Avrei dovuto immaginarlo che non era normale. Avrei dovuto sentire la puzza di bruciato appena messo piede qui dentro. Ma sono una sognatrice, un'inguaribile romantica, e all'idea di poter collaborare con una delle maggiori agenzie di comunicazione della mia città non ho fatto caso alle note stonate.
Porto il curriculum e il titolare vuole conoscermi così su due piedi: mi affida "come prova" un lavoro che mi porta via un intero fine settimana perché gli serve in tempi rapidissimi.
Mi chiama poi per un lavoro di naming, promettendomi che se la cosa andrà in porto mi farà un contratto a progetto. Inizio così a frequentare abitualmente lo studio.
Accanto a questo lavoro, me ne affida altri. Scopre che non so solo scrivere, ma che uso anche i programmi di computer grafica, così mi affida anche altri mini-progetti.
Un bel giorno mi prende in parte e mi dice che al momento l'agenzia non ha liquidità e che non può pagarmi, ma che se ho pazienza un mese poi sarò inquadrata: perché credono in me, perché vogliono sfruttare le mie capacità e potenziare le mie conoscenze. Io accetto: non solo perché tanto non ho di meglio da fare, ma anche perché in fondo credo in quest'avventura.

I primi sospetti che qualcosa non quadri arrivano alla spicciolata.
Il capo è abilissimo a rivoltare le frittate, condendole con retorica da cabaret così raffinata e roboante da stordire l'interlocutore.
Le promesse sono sempre di più, come i soldi che ci sto rimettendo in benzina, e più il tempo passa più le promesse vengono rimesse in gioco con puntate sempre più alte. Ma il piatto piange.
Dovrei essere nera per questi dettagli che tanto piccoli non sono, ma in realtà li accetto con rassegnazione. Il ridicolo è che sono incazzata per quello che sento come la presa per i fondelli assoluta.
Al colloquio, mi chiede cosa stessi leggendo: "Persi in un buon libro", di Jasper Fforde, rispondo. Lui ammicca, per la serie "sì lo conosco non devi spiegarmi chi è".
Dopo qualche tempo, lui si vanta di non leggere un romanzo da anni - perché poverino si affeziona così tanto ai protagonisti che arrivato alla fine gli sembra di perdere degli amici e ci sta tanto male.
Toccatemi tutto, ma non i miei libri. La mia stima su una persona si basa anche su quello che legge: non sono così spocchiosa da non rivolgere la parola a chi non ha mai aperto un libro in vita sua ma se mi dici che ti piace leggere ti aggiudichi dieci punti in più. Se conosci Fforde, di punti ne guadagni cento.Se millanti letture che non fai, nella mia classifica scenderai in caduta libera fino all'ultimo girone degli inferi, senza rete di sicurezza, senza paracadute.

Sì, caro, ti sono capitata su un vassoio d'argento nel momento del bisogno. Sì, ti sembro ricattabile perché non ho alternative. Sì, ti sembro ingenua e per questo ti senti forte.
Ma non hai capito che *ti vedo*: vedo la tua piccolezza nascosta dall'aria fritta di cui ti circondi, vedo i tuoi difetti, vedo i tuoi punti deboli. Vedo che vivi delle vecchie glorie ma che per questo sei rimasto fermo a dieci anni fa, mentre i tuoi concorrenti girano con l'i-pad. Vedo che non sei tu a poter ricattare me, ma il contrario: perché senza di te non perdo nulla, ma io, qui da te, non sono sostituibile. Quella è la porta e nulla mi trattiene.
Come diceva Dennis Hopper in Speed, che cosa fai? Tu, che cosa fai?!?

Delay Four: ...di buon ora!


Il suono della sveglia gli aveva fatto aprire gli occhi. Odiava quel suono, ma era l'unico che lo faceva veramente saltare giu' dal letto. Stranamente quella mattina Federico si sentiva riposato, anche se la sera prima aveva fatto come al solito tardi. Era soddisfatto. Il suo turno cominciava tra poco, ed avere il lavoro sotto casa era una comodita'. Avrebbe preferito un lavoro da libero professionista, svincolato da qualsiasi tipo di orario, anche se essere nell'arma era una fortuna soprattutto in questi tempi. A questo si aggiungeva che abitava in caserma e a lui faceva comodo. Per questo si sentiva per molti versi fortunato.
Appena pronto scese di casa per recarsi al comando, il sole era alto, stranamente.
- Di buon ora stamane, maresciallo? - disse l'appuntato Tullioni, sbracato con il caffe' in mano ancora fumante, nel gabbiotto.
- Beh si....- rispose - ...buonagiornata, e si ricomponga per piacere...
Guardo' l'ora, erano le otto e dieci. Tutti i giorni, se aveva servizio arriva a quell'ora. Entro' in ufficio e vide l'orologio che era poco piu' in alto della porta. Segnava le nove e dieci. In un primo momento penso' ad uno scherzo di cattivo gusto. Prese i documenti che gli servivano per poter cominciare a lavorare, quando alla porta si annuncio' Tullioni che gli diceva che il capitano lo attendeva nel suo ufficio. Un po' scocciato lascio' tutto per dirigersi dal suo superiore. Intanto si chiedeva cosa avrebbe voluto, forse era successo qualcosa, probabilmente un nuovo caso. Fece un respiro, busso' ed entro'.
- Buongiorno capitano! -
- Di buon ora stamane maresciallo? - mi disse con il viso cupo.
Era la seconda persona glielo diceva. E stavolta cominciava a non capire.
- Capitano, sono le otto e un quarto, avranno cambiato l'orario agli orologi della caserma. Sono scherzi stupidi... - rispose giustificandosi
- Maresciallo, li ho fatti cambiare io gli orologi...- l'interuppe.
- Ma come?!? E perche' poi? -
- ...se mi lascia finire di parlare, forse le spiego! -
- ... -
- Oggi si cambia l'ora, sono le nove e un quarto, maresciallo! -
- ... -
Ora, stranamente, capiva tutto...

decisioni. / 2 (tecnologia, vieni a me.)

in effetti, no, pensavo, sarebbe bello avere la stessa spigliatezza che si ha dietro uno schermo anche nella vita reale. ho deciso: devo appiccicarmi in faccia un ldc, quando vado in giro. magari sarà d'aiuto.

Comunicazioni.

Il primo post di battute è stato una prova, anche andata bene, tuttavia ci è stata segnalata la paternità della prima battuta da parte di un altro collaboratore d'eccezione di questo blog, e per questo ci scusiamo, o meglio mi scuso, stavolta la colpa è mia. Siamo alle prime prime armi con questo e questi inciampi possono capitare, anche se quando accadono sono spiacevoli. Nel frattempo nella battuta è stata inserita la citazione con riferimento al sito. Giacché ci è stato segnalato, era giusto dirlo, tutto qui.

27 febbraio 2011

UshitO dal mondo. - (S)battute/1

(Questo post e' opera de il_cesco e Michele_D)


Vive per diverso tempo con un coltello conficcato nel cranio. La spada nella coccia. (Questa qui è di UomoMordeCane)

L'uomo e' sopravvissuto per quattro anni senza accorgersi di niente.  "Dov'e'?" (Guardandosi intorno)

Li Fu, (questo e' il suo nome, e anche un'indicazione su dov'era) si e' dovuto operare d'urgenza al cervello e se la cavera'. Anche se gliel'hanno gia' cavata.

Invece, sapevate questa? Negli Usa, un uomo rimane ucciso durante combattimento tra galli. Ma non era sul set del nuovo di Asterix.

(Che pollo.)


Il gallo aveva una lama di coltello attaccata alla zampa. L'altra era rimasta nella testa di Li Fu.

Sempre in America, una tizia di nome Stacey Champion cerca di spedire un cucciolo per posta in una scatola. Ma non riesce. Non se l'e' affrancata. La scatola pero' e' costata 22 dollari.

La donna si e' presentata alle poste, ma alla vista degli strani movimenti del pacco, un ispettore ha chiesto se poteva aprirla. Avrebbero potuto arrestare anche lui.

Il "pacco", in volo, avrebbe dovuto sopportare temperature anche al di sotto dello zero. Facendosi piccolo piccolo.

Una giudice federale della Repubblica siberiana di Buriaza (noi sappiamo tutti dov'e') e' stata licenziata per aver pubblicato su un social network stile Facebook alcune foto che la ritraggono mentre beve, bacia, lecca sensualmente. Una bottiglia.

(Ma, evidentemente, non lo faceva troppo bene.)

Subito qualcuno si e' voluto trasferire li'. Per farsi processare. No, non e' chi pensate voi.

La giudice "ha violato il codice etico" secondo il quale i magistrati "dovrebbero mantenere la dignita' in qualsiasi situazione." E, almeno, ingoiare.

(Le dovremmo far conoscere l'ispettore della storia di Stacey Champion, alla signorina)

Nel frattempo, si e' concluso il festival di Sanremo.
Si e' parlato di tutto, della Clerici con la sua bambina, del cattivo inglese della Canalis (e abbiamo tutti scoperto che probabilmente predilige altri metodi per farsi capire da Clooney), della presunta falsa satira, del possibile verdetto truccato.

La solita merda.

(Ma a qualcuno e' piaciuta.)


(Anzi, se l'e' gustata proprio.)
Niente da dire su Gianni Morandi,  ci pensa Google. Provate.

Vabbe' queste sono solo insinuazioni, noi non ce la beviamo.  C'e' pero' chi la mangia.

A questo preferiamo una bella Coca Cola.

---

A proposito, girano voci sulla presunta rivelazione del segreto della Coca Cola. Non possono dire nulla, ma si dice che qualche presentatore di Sanremo ne vada pazzo.

(Per un errore di stampa e' uscito "Coca", ma non era quello che volevano dire, probabilmente.)

"Il segreto e' contenuto sulla bottiglia". Ecco spiegato perche' quel mio amico al pronto soccorso : "Non so come sia successo..."

Analogamente (tutto attaccato), arrestato con 30 oggetti infilati nel retto. Ma lui era chino.

Tra questi:

Una sigaretta: il fumo se non uccide, almeno un po' male lo fa.

Sei fiammiferi: aveva strani bruciori.

Una ricetta. Quella della Coca Cola.

26 febbraio 2011

Un altro angelo in cielo, un'altra bestia tra noi

Non mi piace mettere notizie serie in un blog allegro come il nostro, ma a volte certe notizie sono brutte da leggere. Hanno ritrovato il corpo di Yara. Spero che ora trovino gli autori di un simile gesto, non ridaranno la sua vita, ma almeno che la giustizia faccia il suo corso. Mi auguro che adesso non cominci un altro tam tam stile Sarah.

(S)battute/0

Aprovadicrash presenta una nuova rubrica chiamata "(s)battute". Tratterà di temi vari senza lasciarsi dietro niente. La rubrica seppur collettiva non sarà intesa come una presa di posizione del blog stesso, ma solo da parte degli autori. Farà ridere (oppure no).

Gentalyn Beta

Come faccio a spiegare a mia madre che la Gentalyn Beta non è la cura contro ogni male?
"Mamma ho una puntura." 

"Spalmati la Gentalyn Beta."
"Mamma un gatto mi ha graffiata." 

"Usa la Gentalyn Beta."
"Mamma ho preso una storta." 

"Ci vuole la Gentalyn Beta."
"Mamma mi ha messo sotto una mietitrebbia." 

"Gentalyn Beta!"

parole...

le battute razziste sono una minuscola enciclopedia dell'imbecillità umana

(nichi vendola)

bianca.



sguardi, sfuggenti ma non nascosti.
sospiri, ma pieni non di aria.
calore, ma non caldo.

dannazione.

occhi rossi. non e' stanchezza.
sorrido. poi serio. poi sorrido. poi serio.
la luna mi è amica. giro con lei.

cristo.

zitto. ascolto.
poi parlo, ma molte cazzate, davvero.
"medio", diceva quello lì. sto medio.

non è male, però, dai.

miele e caffè.
miele e caffè.
gusti opposti.

vecchi difetti.

i programmi da massaia non c'entrano.
un po' di cose non entrano.
altre non escono.

luna piena. bianca.

(io le canzoni non le ascolto, ma le sento.)








25 febbraio 2011

Delay Three: chiavi in mano!


Il telefono squillava, in mezzo ad una catasta di carte, introvabile come al solito. Indaffarato davanti al computer, continuai il mio lavoro. Lavorare in un istituto di credito, certe volte ti isola dal mondo reale. Si diventa talmente alienati dalla realta', che tutto cio' che ti succede intorno scompare. Ed anche se i rumori rimangono definiti, preso da quello che scorre davanti ai tuoi occhi, non conta nulla.
Termino' dopo lungo tempo il fastidioso trillare, dando a quel silenzio un gusto prelibato, anche se l'eco continuava silente a rimbombare nelle orecchie. Passo' del tempo quando il telefono ricomincio' con il suo assilante suono, e questa volta piu' per fastidio che per necessita' risposi.
- Ancora a lavoro? Pensi che faresti in tempo a prendere Luca dalla piscina? Spero di si' *click*
Mia moglie mi diceva che mio figlio mi aspettava dopo il suo allenamento. Fuori pioveva a dirotto e lei mi aveva appena comunicato che imbottigliata nel traffico non sarebbe riuscita ad essere li' in tempo.
Dovevo avviarmi, dato che ci avrei messo un po' ad arrivare. Spensi il computer e, voltandomi intorno, mi accorsi che solo io e la donna delle pulizie eravamo rimasti a lavorare. Presi il cellulare che era ad un palmo da me ed infilai la giacca. Come ogni volta controllai se avessi tutto per poter uscire. Le chiavi. Non trovavo le chiavi. Cominciai a cercare tastando le carte che erano sulla scrivania, e controllando per bene ogni singolo angolo. Era come se si fossero di colpo smaterializzate. Mi giravo intorno, cercando di ricordare se le avevo viste da qualche parte. Niente. La mia pazienza cominciava a vacillare. Fuori pioveva come non mai. Mio figlio tra un po' sarebbe uscito pronto a ficcarsi in macchina. Macchina che non avrebbe trovato se prima non avevo recuperato cio' che mi permetteva di avviarla.
Con gesti veloci e impulsivi cercavo dovunque potessero andate a finire, in quel mini-bunker che era il mio ufficio. Con la coda dell'occhio vidi qualcosa scintillare nel fascicolo che nel pomeriggio avevo messo a posto. Erano li. Senza riordinare il casino che il mio ufficio era diventato, uscii di corsa.
Era tardi: lo sapevo, ma continuavo a pensare che anche mio figlio tra uno scherzo ed una chiacchiera avrebbe perso del tempo nello spogliatoio. Intanto schizzavo per le vie della citta' cercando di essere li' nel minor tempo possibile.
La pioggia non aveva desistito un momento di venir giu' e voltandomi nel parcheggio della piscina vidi Luca, completamente bagnato. Lui era uscito in tempo...

incontri ravvicinati del terzo dito...

mi hai ispirato così tanta tenerezza che il desiderio è stato quello di cullarti. in un frullatore. acceso, of course.

24 febbraio 2011

trip in trip.


no vabbè, mi veniva in mente che forse la quantità di pensieri che partoriamo e rievochiamo quando siamo in viaggio

23 febbraio 2011

First Date!

Ciao a tutti ragazzi!! Come avrete capito sono nuovo da queste parti. Mi presento brevemente, mi chiamo Antonio e come avrete capito dall'introduzione del Cesco mi occuperò principalmente di disegno e più nello specifico dello stile manga. Spero di contribuire positivamente a questo blog e di arricchirlo in qualche modo. Purtroppo è la prima volta che partecipo ad un blog o simile e non sono molto bravo con le parole quindi cercherò di farvi partecipi di qualche mio pensiero, esperienza o semplicemente delle mie passioni tramite il disegno. Un grazie a Francesco per avermi invitato a partecipare a questa esperienza sul web, a tutti quelli che vi scrivono (che sono mooolto più bravi di me) ed a tutti i lettori!! Grazie!!

Banale ossigeno.

Credi davvero che sia tutta colpa del riscaldamento globale?
Ho una piccola serra dentro di me, ma di certo non scioglie i ghiacciai.
Credi davvero che sia tutta colpa del buco dell'ozono?
I miei retaggi adolescenziali non mi hanno ancora intossicata. Non del tutto, almeno.
Credi davvero sia tutta colpa di questo Governo?
Ho due Camere anche io, mi basterebbe un mezzo busto per approvare i miei disegni.
Non è mica così facile.
Credi davvero sia tutta colpa mia?
Il mio corpo martoriato sarà dovuto a qualcosa.
Sì, hai ragione, forse è tutta colpa dell'effetto serra.
Qualcuno dovrebbe salvarmi.
Non si sa mai.

Ad ogni modo, non ci sono più le mezze stagioni.
E io non mi accorgevo che erano i tuoi filtri a farmi respirare.
E io non mi accorgevo che erano i tuoi occhi, il concime per i miei.

Rifiorirò.

+1 (Nuovi gradevoli arrivi).

Ok. Se vi diciamo Antonio_Manga (sapendo che Manga non è il cognome) avrete già capito di cosa si occuperà il nostro nuovo collaboratore...in bocca al lupo Antò!

Delay Two: il colpo del reato


"L'appuntamento e' alle 16 e non puoi arrivar tardi"...erano queste le parole che Giorgio mi aveva detto senza darmi il tempo di fiatare. Senza darmi il tempo di replicare che erano le due (14.00) e che mi ero appena svegliato. L'avevo sentito affannato e preoccupato, non so perché ed in quel momento non me l'ero neanche chiesto. Dopo tutto era un caffè che dovevamo prendere.
Doveva darmi una cosa o dirmi una cosa, erano un po' di giorni che me lo ricordava. Sinceramente ignoravo cosa fosse e neanche me ne preoccupavo.
Mentre pensavo alla telefonata e a cosa mi potesse dire o dare, mettevo qualcosa nello stomaco. Era tardi e tra i pensieri e le notizie che il telegiornale dava, si erano già fatte le tre. Ero ancora in tempo, una doccia veloce era quello che ci voleva per incominciare la giornata.
Dopo una mezzora ero gia' pronto e mi trovavo puntuale per arrivare all'altra parte dela citta'.
Strano che dovessi andar li'!
Pensavo e ripensavo a cosa potesse essere successo, a cosa spingesse Giorgio a cambiar Bar. Lui era cosi' abitudinario e il Caffe' del Corso faceva il miglior espresso della zona. Doveva essere qualcosa di importante...
Mentre riflettevo su questo non vidi l'uscita che mi portava in poco piu' di una decina di minuti da lui. Percorrevo la circonvallazione immerso nei miei pensieri, e camminavo camminavo...
...la cosa che mi porto' alla realta' fu il cartello che segalava la fine della citta'. Inchiodai di colpo e accostai per poter fare inversione. Guardai l'orologio e vidi che le quattro erano passate da circa dieci minuti. La bestemmia fu d'obbligo. Il mio amico avrebbe aspettato insieme a quello che aveva per me. Percorrevo questa volta la circovalazione con un unico obiettivo, fare il meno tardi possibile. Intanto le lancette correvano e il traffico aumentava, strano come queste cose sono sempre correlate.
Predevo l'uscita giusta questa volta, ma continuavo a pensare, erano passate le quattro oramai da venti minuti, ero sulle spine come se a fare ritardo in quel momento fosse stato lui.
Ero quasi arivato davanti al bar, quando vidi un particolare, una macchina della polizia...solo in quel momento tutto mi fu chiaro....avevo fatto tardi....il colpo era saltato e Giorgio era in manette....maledetto ritardo!

Libia

Il post serio lo trovate su Paòloblog, qua invece ne scrivo uno ancor più serio cazzaro.

Da tempo pensavo a quest'idea, soprattutto ora sarebbe il caso di applicarla: dichiariamo guerra alla Libia. Tanto del loro gas ne avremo bisogno, le risorse non mancano, insomma sarebbe un bell'acquisto. Guadagneremmo pure altri kilometri di costa, insomma anche il turismo gioverebbe.

Attacchiamo ora che Gheddafi è distratto da altre beghe. Se qualcuno dice "Eh ma non potete fare la guerra di offesa", noi rispondiamo "Ci sono armi di distruzione di massa". C'è un precedente che ci darebbe ragione. La popolazione penso ci darebbe una mano, sia perché hanno qualche incomprensione con l'attuale leader della Libia; oltretutto a quel punto sarebbero italiani senza dover fare un duro viaggio nel mediterraneo.

Infine, a quel punto le aziende italiane che hanno aperto la sede in Libia, per risparmiare, si ritroverebbero un epic fail: riprenderebbero a pagare le tasse italiane e a pagare stipendi a livello italiano.

massime di vita.

"certe volte ti rendi conto che esser cattivi è meglio che esser buoni" disse l'esploratore al cannibale.

22 febbraio 2011

21 febbraio 2011

Un due tre Pizia!

Esimi colleghi, cari lettori, buonasera! 
Un sentito ringraziamento ai pazzoidi che mi hanno invitato a ingrossare le vostre file e una doverosa presentazione da parte mia, giusto per prendere confidenza.
Blogger da tre anni, wikipediana da qualche mese in più, internauta dai tempi in cui l'adsl non si sapeva cosa fosse, lettrice onnivora seriale compulsiva, provetta cuoca, aspirante pasticcera, sono alla riceca di un incrocio tra il Giratempo di Harry Potter e il Pugnale del Tempo del principe Dastan. Col principe Dastan in carne e ossa, visto che sto sognando tanto vale farlo bene.
A casa mia i libri occupano più spazio di tutto il resto messo insieme e se ancora non ne ho messi anche sotto il letto devo ringraziare quella magica istituzione che si chiama biblioteca: il prestito non è cosa buona e giusta solo per il portafogli. Quando sarò ricca e famosa, mi comprerò una casa con una stanza-biblioteca, ricoperta di scaffali fino al soffitto, dove potrò disporre i libri a mio piacimento, senza essere costretta a prodezze da campionessa di Tetris per incastrarli senza sprechi di spazio.
Ho un ego grande come una casa e non potrebbe essere altrimenti vista la mia insicurezza cronica: perché per andare avanti nonostante tutti i dubbi amletici che mi assillano devo per forza poter contare su una volontà ferrea.

E tutto il resto...lo scoprirete solo leggendo(mi).

Anatema.

Luce
spenta di un accendino
vuoto.
Fulcro di un sogno
a mezzo
busto.
Insieme soli.
Distanti infinitamente.
Così vivi.
Così poco reali.
Conformità mentali.
E il silenzio fu
del nostro abbraccio.

tracce/6

c'è un periodo attraversato da tutti (si parla dell'età "preadulta") in cui di certe cose proprio non te ne rendi conto. Anzi, meglio, non è che questione di capire ciò che sta succedendo, ma di capirne le conseguenze.

Delay One: Inritardabile


Il sole alle 7 di mattina travolgeva la citta' non preoocupandosi degli occhi stanchi che volevano dormire, non curandosi di chi si era appena messo a letto o di chi aveva passato la notte insonne.
Per Peter ogni mattina sembrava la stessa mattina, almeno per uno come lui abituato a fare le stesse cose, sempre. Uno come lui che lavorava in banca ormai da circa quindici anni, inquadrare gli orari era qualcosa di insito nel suo lavoro. Vantava di non essere arrivato in ritardo sul posto di lavoro, durante i suoi anni di servizio. Si rifugiava da qualsiasi cosa potesse modificare la sua instancabile puntualita'.
Dopo anni calcolava ogni eventualita' al secondo, arrivando con qualche minuto di anticipo, che utilizzava per degustare un buon espresso.
Anche quella mattina il sole si levava dando luce alla vita che non aveva cessato di continuare, e Peter si alzava dopo che la sua sveglia aveva rotto il silenzio. Anche la sua famiglia cominciava la giornata tra le urla dei suoi bambini e le ammonizioni della moglie verso loro. Lui imperterrito continuava a prepararsi per poter uscire. Come sempre in anticipo, si ficcava in macchina, percorrendo la stessa strada che ormai da anni lo portava al suo posto di lavoro. Uno strano presentimento lo attanagliava. Soprattutto oggi non poteva far tardi, l'arrivo del nuovo direttore. Oggi non doveva far tardi.
Perso in questi pensieri, non si era accorto che una macchina aveva bloccato il traffico nella via che portava alla banca. Un auto blu lentamente procedeva non preoocupandosi affatto della fila di auto e di clacson che si era formata dietro di lei. Qualche minuto di ritardo, era gia' calcolato e magari il caffe', per quella mattina, sarebbe saltato. Il traffico cominciava defluire, l'auto blu aveva scelto di accostare. Finalmente con un'accelerata avrebbe recuperato il tempo perso. Ma giunto in prossimita', si comincio' ad accorgere che la sua macchina, non sarebbe mai passata in quello spazio. Innervosito per lo scorrere del tempo, comincio' a sfogare tutto sul suo clacson. Il conducente incriminato era un anziano signore, che parlando a telefonino, comincio' a spostare la macchina di qualche metro. Peter accortosi di aver lo spazio necessario, supero' l'ostacolo e guardo' con faccia irritata il conducente che rispose all'occhiataccia con una ancora piu' truce. Peter, in ritardo di qualche minuto pensava a che scusa fosse stata plausibile per poter convincere il nuovo capo. Parcheggiata la macchina comincio' a correre per recuperare il tempo perso. Affannato e sconvolto in viso raggiunse l'entrata. Chi era presente non credeva ai suoi occhi, i colleghi erano increduli e divertiti allo stesso tempo. Per fortuna sapeva non era l'unico ad essere in ritardo, anche il direttore lo era. Entro' subito dopo di lui e riconobbe lo sguardo truce di prima...

Facce da natica

Domanda: immaginate una persona ricca che prende un appartamento in centro a Milano, che sarebbe riservato ai meno abbienti, pagandolo 5000 Euro all'anno. Ora la domanda è questa: che coefficiente di faccia da culo serve per fare ciò? Io mi immagino il tipico affituario che magari se la mena con gli amici al bar "Ué Gino, io vivo a Milano né, ho l'appartamento in pieno centro, vedo il Duomo dalla finestra. Ma va là, non pago un casso di affitto. Ho preso quelle case, sai quelle che dovrebbero dare ai poveri, i pezzenti, gentaglia. Dare un appartamento a loro è come dare le perle ai porci, meglio darle a persone di classe come me. Io all'anno pago di affitto esattamente quello che prendo in un giorno di stipendio."

20 febbraio 2011

ultim'ora.

a celano, un paesino ad un po' di km da casa mia, in provincia de l'aquila (io abito a chieti), hanno inaugurato una mostra di "archeologia culinaria": praticamente ci sono oggetti legati alla cucina degli antichi, insieme a studi sulle loro abitudini alimentari.

se vi capita andateci.

hanno ritrovato cibi come cereali, carne e tanti altri. la cosa interessante è che comunque non erano comprati al lidl, probabilmente esistevano discount più convenienti.

onirico (un pezzo diverso).



ho fatto un sogno.

e non è un discorso di martin luther king. qui c'eri tu. e nessun colpo di pistola, né folle gremite né discorsi su podi.

19 febbraio 2011

Delay Zero

-Ancora in ritardo! Di quasi un'ora!!!
-Scusa, non puoi capire che cosa sia successo...
-...si si, le solite scuse! Se per ognuna ci scrivessi una storia...ne uscirebbe un libro!
-Potrei cominciare!
-Ma non farmi ridere! Era cosi' per dire!
-Invece mi sembra una buona idea! Almeno se faccio tardi daccapo, avrei un buon motivo da darti...
-...


Questo post il primo di una serie di post (7 in tutto) che racconteranno situazioni imbarazzanti, luoghi comuni e storie paradossali o spunti per scuse esilaranti (ma poco credibili) tutte incentrate sul ritardo......

agrodolce/39

il mio primo pensiero oggi? "maledetto ipotalamo" (è vero: certi giorni una bella apocalisse non guasterebbe).

18 febbraio 2011

Silvio dove sei? Qui è pieno di gnocche

(Manifestazione del 13 Febbraio 2011)

Aldo Forbice, del quale vi fornisco un'imparziale biografia, conduce una trasmissione radiofonica su Radio1. E lo scrivo soltanto perchè non sapevo come terminare la frase dopo la virgola.
Ieri, tra i vari argomenti trattati durante la trasmissione, spunta anche il nome di Roberto Benigni, con l'inaspettata polemica sul suo cachet. Inaspettata perchè ogni anno la rimuovo dalla memoria per lasciar spazio alla filastrocca dei mesi.
Riporto a grandi linee la telefonata tra Forbice e un suo ascoltatore:


F. Ah perchè, secondo lei Benigni è un uomo di cultura? Ma per favore, è soltanto un attore.
A. Be' tra le altre cose ha vinto anche un Oscar per La vita è bella...
F. Brutto. Un film brutto.
A. ...
F. Brutto.


Per quanto riguarda la prima affermazione, non c'è molto da dire. E' evidente l'invidia  malcelata da queste parole.


Io conosco persone che odiano Benigni e che non apprezzano La vita è bella. Ci sarà una parte di popolazione che non ha visto il film o che è rimasta impassibile durante la visione, come c'è anche una parte di popolazione che indossa le Hogan. Come al solito si cade nell'insindacabile, nel soggettivo e tutte queste menate che mi obbligano ad aprire inutili parentesi.

Detesto le apologie a priori, ma ancor di più le critiche forzate. C'è chi ha da ridire sul discorso di Benigni fatto a Sanremo, perchè ha preferito raccontare una Storia senza troppi retroscena. Mi sembrava di sentire P. il professore di filosofia del liceo.
Oltre alle mere questioni di share, B. era sul palco di Sanremo anche per celebrare l'Unità d'Italia, per infondere un po' di spirito patriottico (quello sano)  nelle menti della popolazione. O almeno nelle prime due file della platea dell'Ariston.
Ho apprezzato questa descrizione positiva della Storia e dei suoi personaggi. Non è stata un'affabulazione, perchè se volete sentire verità scomode, polemiche inutili o insulti random, c'è sempre Sgarbi da qualche parte, pronto ad urlare "Garibaldi mafioso e culattone" ad ogni gettone inserito nel...  ciao mamma!


In questo momento credo ci sia bisogno soltanto di quello "stare uniti" che Morandi continua a ripetere confusamente anche in fase REM, scalciando i piedi. Non prendètela come una frase buonista, anche se risulta difficile.
L'unità di cui abbiamo bisogno è la stessa del 13 febbraio, senza distinzione di sesso. E' quella che si trova nelle prime pagine di Animal farm, senza maiali.

Nuova gente su (A)prova di Crash

Diamo un bel benvenuto ad un nuovo membro, Pythia, nella nostra combriccola. Come sempre siamo felici di accoglierla...

In bocca al lupo.


leggende metropolitane.


gianni morandi: "frà, vuoi un caffè?"
io: "sì, grazie molto volentieri"

*tempo necessario per l'ebollizione*

io: "puah! madonna mia! e cos'è? merda sciacquarella???"

potrebbe esserlo.

fosforo.

avrei voluto dirvi qualcosa ma ora non ricordo.
"sarà stato poco importante". probabile.

o forse era qualcosa di veramente serio, ma io, che sono veramente sciagurato, l'ho dimenticato.

perché sì, mi capita, la memoria mi fa dei brutti scherzi quando non sto attento.
"appunto. sei distratto, nient'altro."
lo spero.

oppure può essere che abbia la testa incasinata da altro...comunque, dicevo?

17 febbraio 2011

abbronzarsi, far luce, ma anche...


vi ricordate la favola di aladino? beh, anche se non la ricordate per filo e per segno non vi saranno nuovi alcuni elementi. fra tutti sicuramente il genio (non pop-porno, per fortuna), il tappeto volante e i tre desideri.

ok. i tre desideri.

aladino al terzo scelse di liberare il genio e gli altri due non li ricordo proprio. e se voi aveste questa magnifica triade di opportunità a disposizione...che fareste?

pensa e ripensa, dopo un'attenta riflessione e un panino al prosciutto (a pancia piena si riflette sempre meglio) ho capito che l'invisibilità "a comando" non sarebbe male.

es.1.1

"amore! amore? amore dove sei?!"
"..."
"amore???"
e voi comodamente svaccati sul divano a dormire (e non russate, ché sennò salta tutto)

es.1.2

"mamma mia che mal di pancia. ho più gas io che le condutture di putin".
il resto potete immaginarlo.

oppure agire sulla propria personalità ed essere spensierato.

es.2.1

"la casa va a fuoco!"
"non importa! fuori è una bella giornata."

es.2.2

"le rimangono 3 giorni di vita...ma, cosa fa? ride?!"
"sì."
"è pazzo?"
"no. ho 3 giorni di vita, ma non fa nulla. ho un litro di acquavite da consumare quindi fa nulla. come si dice: alla salute!"

va bene. finiamola qui.





come dite? ah già il terzo desiderio. semplice: averne altri tre.

16 febbraio 2011

scusa, non volevo...è che...

sara tommasi malata di sesso? bella scusa: la dovrei utilizzare pure io, la prossima volta.


i film americani mi fanno una beneamata.




la tensione era altissima. maledetto impianto elettrico. ora doveva saltare?

perse la pazienza (eppure era lì poco prima), uscì sconsolato per strada. non aveva pace, una donna lo importunò, tartassandolo di domande.

"chi è? da dove viene? quanti hanni ha". tutta questa curiosità! tuttavia, capì: il sondaggio istat andava compilato.

con un lieve mal di testa e un fastidio addosso (portava le mutande in acrilico e aveva l'intimo delicato) si mise in macchina. si stava recando lontano, in un posto sicuro, ma ad un tratto si accorse di un particolare agghiacciante: si era perso.
poi decise di accendere il tom tom.

giunto a destinazione (non conosco località con questo nome, ma vabbè) entrò in quel riparo. il posto doveva essere conosciuto e invece era diverso. la nuova collezione ikea aveva sostituito la vecchia.

incuriosito esaminò ogni dettaglio, poi ci fu un grande buio, il tempo passò. lui alzò la posta e decise di vedere. vinse. il texas hold'em era la sua passione.

sfinito, tornò al suo "habitat naturale".
voleva solo dormire. era praticamente "distrutto". per levarsi di dosso tutto quel grasso animale e l'unto decise di farsi una doccia.
dopo 2 ore aveva finito di costruirla e si lavò.
poi fu il turno suo (le docce sono igieniste esasperate).

ormai la notte era scesa. lui invece salì, in camera.
ma essere ripreso da quella cinepresa lo innervosiva.

comunque, era stanco (ma per gli amici giorgio, e in ogni caso si addormentò.)

il giorno dopo avrebbe dovuto affrontare un colloquio con gente losca. e così avvenne.

"mi dica..."
"da me non saprete nulla!"
"le dico, le conviene parlare..."
"mai!"
"ragioni. parli, altrimenti ci comporteremo di conseguenza"

il nervosismo si tagliava. era un brutto periodo e c'erano state evidenti manifestazioni di autolesionismo.

"mai parlerò...mai! non mi estorcerete neanche un'informazione!"
e la commissione lo bocciò anche stavolta.

un mio piccolo giudizio personale: avrebbe dovuto conservare l'orgoglio per altre occasioni. tipo quelle importanti in cui apri anche una bottiglia, violando la sua privacy.
in ogni caso, per conservarlo, avrebbe dovuto bollirlo, perché con la salmonellosi non ci si scherza, eh.

arrivò l'ora di pranzo. eh, sì, purtroppo era stato molto male, e non ce la fece. lui, cinicamente, comunque mangiò. era arrivata anche l'ora del caffè e dell'amaro.

in effetti c'era molto amaro. tutte quelle morti in così poco tempo non avevano fatto certamente piacere.
(però, dico io, per educazione, ci si presenta comunque, eh)

15 febbraio 2011

la buona e la cattiva.


la buona notizia? ho davvero trovato la mia pace interiore. la cattiva? non credo che se ne andranno dalla felpa le macchie di sangue e budella. cazzo.

Prove evidenti

Ho appena appreso che ci sarà il giudizio immediato per Berlusconi sul caso Ruby. Per chi non lo sapesse, i reati sono concussione e prostituzione minorile.
Secondo il GIP ci sarebbero prove evidenti.
Sono atea. Ma se questa volta il premier non si sottrarrà al giudizio con le sue mirabolanti svicolate, mi convertirò all'istante. Folgorata sulla via di Damasco. Gridando "Dio esiste".
Quella sì che sarebbe una prova evidente.

I non valori (1)

Oggi ascoltavo uno spot dove un bambino dalla voce irritante diceva che suo padre è speciale perché ha uno "Smartfon". Poi non lamentiamoci se i bambini e i ragazzini oggi basano il valore delle persone su quello che hanno.

Per la cronaca Io ne ho due di smartfon quindi, stando al messaggio dello spot, dovrebbero darmi il nobel per la pace.

agrodolce/38 (era un po' che non appariva)

pensavo, mentre mi guardavo intorno: "fare carriera tramite abilità orali e/o leccate anali, alla stregua dei cani nel momento della loro igiene intima, non è l'obiettivo della mia vita." (i cani devono essere un po' frustrati emotivamente.)

14 febbraio 2011

Ennesimi Euro

Le casse del Lidl sono affiancate da due scaffali bassi con prodotti in offerta e non. Tra le varie candele rosse da cimitero, ci sono anche numerosi acquisti abbandonati all'ultimo minuto dai clienti più indecisi o squattrinati. L'uomo che ho visto ieri ha fatto il 90% della sua spesa tra questi due scaffali.
Io sono attratta da questi individui. Hanno una tale noncuranza e determinazione nel gettare i prodotti dentro al carrello, guardando appena di cosa si tratta...
Pop Corn o mangime per criceti, è uguale. Quello sguardo disinteressato sembra voler dire

 
Sono un uomo e non devo spiegazioni a nessuno.
 
Secondo me la moglie lo accoglie con il mattarello ogni volta che torna dal supermercato, altroché.

 
 

non parlerò di ricorrenze assurde. promesso.


io, a san valentino, non parlerò di san valentino. promesso.



non parlerò dei pucci pucci e gnegnè che mi danno i nervi e confesso che tuttavia ho fatto anch'io nelle occasioni in cui l'ho festeggiato.



non parlerò delle migliaia di coppie che lo useranno come pretesto per farsi una scopata, così come non parlerò delle altrettante che ci crederanno davvero, attenzione.



non parlerò dei single che approfitterano della loro depressione da amore mancato per "farsi" in bagno e nemmeno di quelli che diranno "sono single e felice per scelta".



non parlerò nemmeno delle radio che manderanno all'impazzata "total eclipse of the heart" o must anni '80 strappalacrime e strappacapelli perché "sì, è san valentino!"

(ma da domani possiamo ricominciare a bestemmiarci in faccia. ah, comunque curioso sapere che il nome della festa è quella di un santo che è stato decapitato. - federico me l'ha cercato su wikipedia -)



non parlerò delle coppie che vogliono far vedere che tutto va bene e sono perfette ma, parliamoci chiaro, anche loro fanno la cacca e hanno i brufoli, e se non si lavano puzzano, e la mattina sono spettinate e così via.



***






detto questo, è arrivato il momento di decidere con che superalcolico ubriacarsi. consigli?

13 febbraio 2011

La rivolta dei bambini di Anne Geddes.







Mi rigirai nel lettino come una frittata.
Non ero riuscito a dormire, avevo frignato tutta la notte, e quella zoccola sorridente non era nemmeno venuta a vedere cosa avesse il suo bambino.
Era giunta l’ora, ne ero certo. Lo sentivo nelle mie baby viscere rivoltate dall’angoscia. Dovevo tentare la fuga, e dovevo farlo ora. Certo, con un chilo di merda nel pannolino non poteva essere un’impresa facile, ma dovevo correre, o meglio, gattonare via da lì al più presto.
Premetti le mani sul materassino morbido e puntai i piedini, sollevando con cautela il posteriore ricoperto di cacca. Il pannolino era così pesante che non riuscivo ad alzarmi, ma strinsi i denti inesistenti e tenni duro. Dovevo andarmene, e subito.
Sentii dei passi nel corridoio. Era lei? Era già ora?
Imprecai utilizzando tutte le bestemmie che conoscevo (quattro in tutto) e con un ultimo eroico sforzo riuscii ad alzarmi in piedi, tutto da solo!
- Buongiorno, amore della mamma. -
La zoccola sorridente entrò, spalancando la porta. Io caddi rovinosamente sul materassino, atterrando sul posteriore. Il mio pannolino emise un sinistro “ plof ”.
Mia madre rise.
- Ma cosa cercavi di fare, patatino? -
Mi prese in braccio e uscì dalla mia cameretta, ghignando e facendo commenti a dir poco raccapriccianti sul fetore emanato dal mio deretano.
Mi adagiò sul seggiolone e cominciò a imboccarmi con la solita sbobba di latte parzialmente scremato e biscotti secchi sbriciolati. Per quale motivo non capiva che voglio i Plasmon? In che lingua bisogna dirle che mi piacciono i Plasmon?
Dopo quell’infame colazione mi fece il bagno nella vaschetta blu, continuando con i suoi commenti e sorrisini rivolti alla mia sorprendente prolificità anale.
Poi mi adagiò su un asciugamano rosa steso nel tavolo in salotto e mi riempì di borotalco. Sembravo un prosciutto.
Prese ad armeggiare con un Pampers, uno di quelli tutti decorati, con elefantini e leoni sorridenti. Mi ero sempre chiesto come mai quella donna non acquistasse pannolini più semplici ed economici, visto che su quegli elefantini ci avrei cagato sopra.
Dopo avermi vestito e pettinato con cura maniacale i tre capelli che avevo in testa, mi caricò sul Mercedes e partì. Già, il Mercedes. Con tutta probabilità ero ricco, o almeno la mia villa a sei piani e il mio Mercedes mi davano da pensare che fossi ricco. Ma non avevo mai indagato sulla situazione economica dei miei genitori, poichè ero un bambino, e i miei unici interessi erano mangiare, dormire, fare la cacca e guardar sorgere dietro le colline il bimbo sole dei Teletubbies.
Dopo tutto è giusto così, dico bene? E’ proprio questo che fanno i bambini, o sbaglio? Non è in questo che consiste la vita di un bambino, mangiare, dormire, mettiamoci pure giocare, e fare la cacca?
Ma mia madre no, non ci stava. Per lei la vita di un bambino, o meglio, del suo bambino, era mangiare, dormire, giocare, fare la cacca e tanti, tanti servizi fotografici.
Avete presente i bambini di Anne Geddes, quelle povere creature costrette a farsi immortalare vestite da ananas? Ecco, io ero una di quelle povere creature umiliate e private del più piccolo stralcio di dignità.
Mi avevano fotografato travestito da ippopotamo, da farfalla, da coniglio, da caramella, da ape. No dico, da ape! Ci può essere al mondo qualcosa di più imbarazzante di un pungiglione fuoriuscente dal mio buco del culo? Ci può essere al mondo qualcosa di più imbarazzante di apparire su diari, agende, blocnotes e quaderni a righe e quadretti con un pungiglione fuoriuscente dal mio buco del culo?
Ed era proprio lì che mi stava portando, quell’arpia. Proprio lì, nel tugurio, nel mattatoio, nel  set, come lo chiamava lei, a passare ore e ore a farmi svestire e rivestire, truccare (si, truccare!) e immortalare da un branco di checche isteriche, con tanto di luci accecanti puntate dritto nelle pupille e continui e incessanti gridolini di approvazione della zoccola sorridente.
- Ci siamo, piccolino - disse quella, e parcheggiò. Io lanciai un’occhiataccia a quell'enorme edificio bianco, mentre lei era tutta intenta a liberarmi dal groviglio di cinture di sicurezza che mi teneva ancorato al seggiolino.
Quando entrammo fummo accolti dal solito gruppetto di racchie – con i loro malcapitati bambini – che salutarono mia madre aggredendola con baci e sorrisi tanto smielati quanto fasulli. Mia madre mi posò sulla moquette vicino al mio amichetto Michael, impegnato ad armeggiare con dei pezzi di Lego.
- Ciao, Michael. -
- Ciao. -
- Tutto bene? -
Mi guardò perplesso. - Secondo te può andare tutto bene? Ti rendi conto di dove ci troviamo ora? Te ne sei reso conto? -
- Hai ragione, Michael. Scusami. -
Domanda stupida.
Detestavo vedere Michael così abbattuto. Era il mio migliore amico. Ci eravamo conosciuti al nido, quando un bambino panzuto aveva preso a tirarmi pugni perché desiderava disperatamente i miei yoyo, e Michael si era messo in mezzo e mi aveva difeso. Da quel giorno eravamo diventati inseparabili, anche perché condividevamo lo stesso dramma: i servizi fotografici di Anne Geddes.
Quel triste momento fu interrotto dal branco di checche sculettanti che arrivarono a prelevarci in sala d’attesa, assicurando alle mamme che “ci avrebbero trattato con ma massima cura, come sempre”. Io finii tra le braccia della checca biondo platino, che camminava a passo svelto strillando e impartendo ordini alle altre checche.
Fecero entrare per primo un tristissimo Michael nella sala costumi, assieme ad un altro paio di bambini piagnucolosi. Nel frattempo io rimasi in quella piccola stanza assieme ad altri bambini e ad una checca scazzata che aveva l’ingrato compito di tenerci d’occhio.
- Come va, compagno? - Chiese una vocina rauca dietro di me. Mi voltai e vidi un bimbetto dallo sguardo serio, fiero, costellato di lentiggini, i capelli rosso fragola come la t-shirt, che riportava una falce e un martello.
- Si tira avanti.-
- Vorrei scappare da qui - buttò lì il piccolo comunista.
Non parlammo più. Non eravamo dell’umore.
Passammo mezzora così, in silenzio, con la checca che ci guardava dall’alto e le mamme che entravano e uscivano dalla stanza.
Chissà da cosa mi avrebbero conciato oggi. Da maiale? Da banana? Da peluche?
Guardai la checca, riluttante. Ora era impegnata a scattarsi foto con il cellulare.  Forse potevo fuggire. Forse avevo ancora una possibilità.
Mentre studiavo un modo per scappare da quell’inferno di umiliazione, sentii dei singhiozzi provenire dalla sala costumi. Di certo non era Michael. Lui era un maschio duro e puro, uno con i controcazzi. Non piangeva mai. Non aveva pianto nemmeno quando la maestra lo aveva messo in castigo.
La porta della sala costumi si spalancò ed entrò la checca biondo platino, visibilmente in difficoltà, che teneva in braccio una bambina che scalciava, urlava e piangeva. Ecco di chi erano i singhiozzi, poverina. Indossava un abitino rosa scuro con un paio di piccole ali fissate sulla schiena, e aveva dei capelli così belli e gialli che non potevano essere altro che una parrucca.
La checca cercava di tenerla ferma e implorava l’aiuto della madre della bambina, che gli cacciò un morso nell’avambraccio. La checca urlò.
Io la stavo a guardare impietrito e ammirato per quel folle gesto e la bambina si voltò, inchiodandomi con lo sguardo. Le guanciotte rosse, gli occhi iniettati di sangue, due grosse gocce di moccolo che colavano dalle narici.
Non era una bambina, era Michael.
- MI HANNO VESTITO DA FATINA! - Strillò, disperato, continuando a guardarmi negli occhi. - MI HANNO COSTRETTO! -
Rimasi lì, paralizzato, a fissare il bambino più virile che avessi mai incontrato vestito da donna. Sentii la rabbia divorarmi lo stomaco, mentre il piccolo comunista balzò in piedi, traballante, le guance del colore dei capelli e della t-shirt, lo sguardo indemoniato.
Il piccolo Lenin rampò a fatica su un tavolino in legno al centro della stanza. In piedi, con il pugno sinistro alzato, gridò: - Compagni! -
Io, Michael e le checche lo guardavamo atterriti.
- E’ ora di ribellarci alle umiliazioni inflitte da questi capitalisti modaioli! E’ ora di ribellarci ai soprusi, alla  sottomissione, allo sfruttamento! E’ ora di ribellarci alla padrona, alla schiavista: Anne Geddes! - Fece una pausa.
- Compagni...INSORGIAMO! -
Silenzio.
Ok. L' “insorgiamo” l’avevo già sentito, e sullo “schiavismo” e la “sottomissione” aveva un tantino esagerato, visto che ci pagavano per quelle foto. Ma l’umiliazione...oh, su quella non vi era nulla da eccepire. E anche gli altri bambini presenti, soprattutto Michael, sembravano pensarla come me, date le loro espressioni del viso tanto determinate quanto adirate.
Era ora di una svolta, di un cambiamento, di una rivoluzione. Era ora di vendicarci e riprenderci la nostra dignità. Era ora di combattere e di far valere i nostri diritti.
Era ora.
Salii sul tavolino in legno, accanto al piccolo comunista. Gli occhi dei bambini e delle checche si posarono su di me. Mi schiarii la voce.
- Fratelli. -
- Compagni - mi corresse il piccolo comunista.
- Compagni - feci una pausa. - Il nostro amico dai capelli rossi...
- Sergio. -
- Il nostro amico Sergio ha ragione. Non possiamo continuare a subire tante umiliazioni, non possiamo vivere nel terrore dei flash, dei costumi...
- Dei trucchi. -
- Va bene, dei trucchi. Non possiamo vivere nel terrore dei trucchi e...
- Le parrucche. -
- MI LASCI PARLARE, SERGIO? -
- Scusa. -
Lanciai un’occhiata nervosa ai bambini che stavano lì a guardarci, con i loro musetti tristi, e mi resi conto che eravamo pochi, troppo pochi per una rivolta.
- Compagni – dissi. – Sapete se ci sono altri bambini nell’edificio? -
Michael si asciugò le lacrime, spalmando il mascara sulle guanciotte, e parlò: - E’ sempre pieno di bambini qui – disse, ritrovando il suo tono di voce rude. – Mamma una volta mi ha portato a visitare l’intero edificio, e ho scoperto che le foto non si fanno solo in questo piano, ma anche ai piani superiori. Ci sono bambini ovunque.-
- Dobbiamo contattarli. Dobbiamo fare in modo che si alleino a noi. -
- E come facciamo? Di sopra è pieno di truccatori e fotografi, come qui. -
Mi sedetti sul tavolino, pensieroso. Senza altri bambini, la rivolta era infattibile. Dovevo trovare un modo per farli scendere al primo piano, o per salire noi ai piani superiori, senza essere intralciati dagli adulti.
I bambini cominciarono a parlottare tra loro, mentre le checche mi guardavano senza capire.
Le checche!
Mi rialzai, meno traballante del solito. - Compagni! – Strillai, entusiasta. – Prendete le checche e imbavagliatele! -
I bambini non mossero un dito e mi guardarono perplessi.
- Scusa ma... – cominciò Sergio. – Puoi stare attento a quello che dici? Ti sentono, le checche!-
- Non essere sciocco. Gli adulti non comprendono il linguaggio dei bambini. Prendete le checche e imbavagliatele, prima che scappino! -
- A che scopo? -
- Li costringeremo a reclutare altri bambini. Gli diremo di contattare le checche dei piani superiori, e di dirgli che Anne Geddes vuole realizzare una fotografia con tutti i bambini, una foto di gruppo. -
Sergio si illuminò. – Si...gli diremo di portare i bambini qui e...
- Inizieremo la nostra rivolta. -
Gli sguardi perplessi svanirono dalle facce dei compagni, per lasciare posto a sorrisi e cenni di assenso. Sergio li incitò ad attaccare, mentre le checche continuavano a guardarci senza capire.
In un attimo gli fummo addosso: chi di noi sapeva correre gli corse incontro, li assalì, li imbavagliò e gli legò mani e piedi con del nastro adesivo, la prima cosa che trovammo. Chi di noi non sapeva correre – la maggior parte – aiutò ad immobilizzare le checche, così sconvolte che si difendevano a malapena.
Michael era il più grande di noi, e con il linguaggio adulto se la cavava, dunque intimò in un qualche modo alla checca biondo platino di far scendere i bambini al primo piano. Presi il cellulare della checca dalla tasca dei suoi pantaloni in pelle fucsia e glielo avvicinai all’orecchio. Michael gli strappò via il nastro adesivo della bocca. La checca urlò, e Michael la zittì con un pugno.
La checca fece il suo dovere, e avvisò i colleghi con voce tremante di portare giù i bambini. Poco dopo sentimmo delle voci nel corridoio. Si occupò di tutto Sergio, di sua iniziativa. Noi stavamo a guardarlo dalla fessura della porta socchiusa mentre si avvicinava a gattoni al gruppo di bambini. Sorrisi. Erano davvero tanti, almeno cinquanta, più che sufficienti per la nostra rivoluzione.
Sergio giunse a destinazione, mentre le quattro checche che accompagnavano i bambini lo guardavano con aria interrogativa. Non c’erano madri. Si mise a parlottare con il bambino più alto, un biondazzurro fascinoso, che prima lo guardò perplesso, poi attento, poi entusiasta.
Cominciò il passaparola: Sergio e il biondazzurro informarono i bambini, che a loro volta informarono altri bambini. Evidentemente il brusio divenne insopportabile per una delle checche, una pertica rachitica dai capelli verdi, che sbottò:
- SILENZIO! STATE ZITTI! DOVE SONO I NOSTRI COLLEGHI? -
I “colleghi” erano ancora accanto a noi, a terra, incapaci di muoversi e parlare, ma ce la stavano mettendo tutta per farsi sentire, ed emettevano versi attutiti dal nastro adesivo. Nemmeno i calci di Michael li fermavano, dunque mi diressi dalla checca platino e gli sferrai un morso sull’avambraccio, ricordandomi solo dopo che non avevo denti.
Tornai a guardare che succedeva nel corridoio, e vidi che la pertica verde si stava avvicinando a noi: forse aveva sentito. Ma per lui era troppo tardi. La voce si era ormai sparsa fra tutti i bambini, che con uno scatto felino attaccarono i quattro adulti e li atterrarono. Michael li raggiunse con il nastro adesivo, e noi lo seguimmo, euforici.
Era fatta. Le checche erano sistemate e i bambini erano dalla nostra. Restava solo un piccolo ostacolo: le mamme.
Diressi io l’operazione che denominai “Anti Mamma”, e diedi istruzione ad una ventina di bambini di scovare le madri e buttarle fuori dalla porta d’ingresso. Non vi erano molte madri nell’edificio, perché la maggior parte approfittavano dei servizi fotografici per lasciare i bambini in balìa di truccatori e costumisti e andarsene nelle boutique o a pranzo con il personal trainer.
I restanti bambini, guidati da Michael, ancora costretto a indossare la parrucca incollata e ancora verniciato di trucco sbavato, sistemarono le checche dei piani superiori, ma decidemmo all’unisono di non buttarle fuori dall’edificio perché ci sarebbero stati utili degli ostaggi. Le madri, invece, le cacciammo, la mia compresa.
Provai una goduria maligna spintonandola fuori dalla porta mentre lei, disperata e incredula, minacciava futuri castighi e punizioni.
Festeggiammo la nostra vittoria riunendoci nel corridoio della macchinette, brindammo con succhi di frutta e mangiammo snack agli arachidi. I bambini più audaci brindarono con del caffè. Le monete ce le procurammo dai portafogli delle checche.
Mi guardai intorno e, dato che ormai tutti avevano finito di mangiare e chiacchieravano allegri, sentii che era giunto il momento di pronunciare un discorso solenne. Salii su una sedia bianca e rossa e mi schiarii la voce. I bambini si voltarono subito a guardarmi.
- Compagni – dissi, sorridente. – Ce l’abbiamo fatta, l’edificio è nostro! -
Scoppiò un boato, applausi, fischi e grida di gioia mi investirono come una ventata. Attesi che tornasse silenzio poi ricominciai a parlare: - Compagni. L’edificio è nostro e rimarrà tale finché gli adulti non cederanno alle nostre richieste. Sapete bene di cosa sto parlando. Chiederemmo agli adulti, anzi, gli ordineremo di finirla con le foto! –
Altro boato. Le loro grida mi riempivano di orgoglio.
- Cari compagni, ci sistemeremo qui finché non avremo raggiunto il nostro scopo. Le mamme si preoccuperanno e ci vorranno riabbracciare, dunque credo che ce la caveremo nel giro di pochi giorni. Dormiremo sui divanetti, a turno, e ci nutriremo con il cibo delle macchinette. -
Feci una pausa. – Compagni, non sapete quanto mi rende fiero la nostra conquista. Se penso a tutti gli abominevoli costumi, le parrucche, il...il fondotinta...buon Dio..è indecente che io, a due anni e mezzo, sappia solo cosa sia un fondotinta! –
I compagni annuirono. Michael annuì con tale impeto da far scuotere la parrucca in un headbaging metallaro.
- Compagni, ora dobbiamo...
Il mio discorso fu interrotto da una voce strana, artificiale, che proveniva dall’esterno e gridava: “BAMBINI, ORA BASTA! PER CARITA’!"
Corremmo tutti alle finestre, chi a due chi a quattro zampe. Mi arrampicai su una sedia e mi affacciai. Era la zoccola sorridente, accompagnata da un esercito di mamme e da qualche poliziotto.
- Oh! Il mio bimbo! E’ lui! – Strillava al megafono. – Tesoro, scendi giù, da bravo! La mamma è qui che ti aspetta! -
- NO CHE NON SCENDO! – Gridai, ma solo dopo ricordai che gli adulti di sotto dovevano aver recepito solo un “gu gu ga ga” o roba simile.
Michael prese in mano la situazione sfoggiando il suo stentato linguaggio adulto. – Scenderemo soltanto quando ci prom...prometterete che non faremo più foto! – Gridò. – Abbiamo degli ostaggi, e non esist...esit...esiteremo, a fargli del male! –
Un poliziotto rise.
- C’è poco da ridere! Li picceremo! No, li picchieremo! Mamma – guardò negli occhi sua madre, una stangona bionda che ci osservava con aria impassibile. – Devi promettermi che non farò più foto, mamma! -
La madre, con estrema calma, prese il megafono dalle mani della zoccola sorridente e se lo portò alla bocca. – Non diciamo fesserie, Michael. Io non ho tempo per starti dietro tutto il giorno, e con i servizi fotografici guadagniamo parecchio. –
- Guadagni tu, mamma! -
La stangona alzò le spalle. – E tutti i giocattoli che ti compro? Pensi che ti comprerei cinque giocattoli al giorno se non fosse per quei soldi? –
Michael abbassò lo sguardo. – Ne ho già tanti di giocattoli – mormorò. – Io vorrei passare un po’ di tempo con te invece di...di stare qui... –
Nessuno degli adulti lo sentì. Uno dei poliziotti, un ragazzo alto e muscoloso con il mento appuntito, scosse la testa e prese il megafono. - Bambini, mi dispiace molto per la vostra situazione. Ma così non risolvete nulla. Saremo costretti a venirvi a prendere con la forza. –
- Ci siamo chiusi dentro! – Fu il bimbo biondo e fascinoso a parlare. Le bambine presenti lo guardavano innamorate. – Non ci piegheremo più ai vostri ordini! I bambini sono superiori agli adulti, e lo dimostra il fatto che noi capiamo il vostro linguaggio e voi non capite una parola del nostro! Siamo superiori e vinceremo! -
- Fascista – mormorò Sergio.
Il biondazzurro chiuse la finestra e noi lo imitammo. Circa un’ora dopo, però, tornammo ad aprirle, dato il trambusto che proveniva dall’esterno.
All’esercito di mamme e ai quattro poliziotti si erano aggiunti almeno una ventina di sbirri e uno squadrone di giornalisti e paparazzi. Avevamo ottenuto ciò che volevamo: la nostra rivolta avrebbe fatto notizia, e questo l’avrebbe resa ancora più efficace.
A turno, ciascuna delle madri impugnava il megafono e ci implorava di aprire le porte, mentre qualche sbirro ridacchiava, qualcun’altro si univa alle suppliche, e paparazzi e giornalisti scattavano foto e intervistavano le mamme. Stavolta fu Sergio a dire la sua:
- E’ inutile inittere! Insittere! INSISTERE! La rivolta continua! -
Uno sbirro basso e grasso scoppiò in una risata da spaventare i piccioni.
- E cosa vorresti fare tu? – Strillò, fra singulti. – Cosa vorresti fare, Cheguevara? -
Le risate gli facevano traballare il triplo mento, ma si diede una calmata appena vide arrivare una Porche color rosa schoccking. L’attenzione di tutti si spostò su quel confetto a quattro ruote, dal quale scese un autista in divisa, che aggirò il muso dell’auto, e aprì la portiera a qualcuno.
Quel qualcuno posò sull’asfalto un tacco dodici di Laboutine che la zoccola sorridente bramava da mesi ma che mio padre si era rifiutato di comprarle perché sarebbe stato il suo cinquecentosettantunesimo paio di scarpe acquistate in un anno.
Un’elegante biondona scese dall’auto, fasciata in un abito intonato alla Porche e con gli occhi coperti da un paio di occhialoni scuri. Le mancava solo il chihuahua per sembrare una Paris Hilton invecchiata.
Era Anne Geddes. Non l’avevo mai vista, ma sapevo che era lei. Lo sapevo per l’auto, i tacchi, il trucco, e la pomposità emanata da quella donna rifatta, che non degnò di uno sguardo i paparazzi intenti a bombardarla di flash.
Sculettò dritta verso mia madre, che impugnava il megafono, e glielo strappò di mano.
- Piccini – disse, in tono piatto. – Cosa succede? Non vi piace più fare foto? -
- Non ci è mai piaciuto! – Sbraitò Michael.
- Ma, tesoro, quegli scatti vi rendono dei bambini speciali, fortunati. -
- Fortunati? Guardi questa parrucca, sembro una drag queen! -
Anne Geddes non si scompose, mentre il poliziotto grasso continuava a ridacchiare e molti lo imitavano.
- Piccino mio, sei un amore invece. Lo siete tutti. State sbagli...
Fui io a pisciargli in faccia, con un mira impeccabile. Fu meraviglioso vedere il suo trucco squagliarsi e i compagni acclamarmi come un eroe. Dopo la gloriosa urinata chiusi la finestra e mi presi tutti i complimenti e le pacche sulle spalle di questo mondo.
Un rumore dal basso ci mise in allarme: stavano tentando di entrare. Con il potere acquisito, ordinai ai bambini capaci di correre di precipitarsi a guardare che succedeva. Il biondazzurro fu il primo a tornare di sopra, e dichiarò col fiatone che era stato un falso allarme, le porte erano ancora sbarrate. Strano, ma alzai le spalle e continuammo a festeggiare la mia impresa.
I festeggiamenti durarono due giorni, fra snack agli arachidi, caffè, giochi e canti improvvisati. L’euforia da caffeina ci contagiò tutti, e in due giorni rovesciammo le macchinette, divorando tutto, distruggemmo attrezzatura fotografica e disegnammo sui muri con i rossetti. Nessuno di noi si lavava, e ci trascinavamo per le stanze con i nostri pannolini ripieni.
Una volta smaltita la caffeina, ci rendemmo conto del guaio fatto:
- Ci siamo lasciati prendere dall’entusiasmo – dichiarai. – Non abbiamo più cibo. -
- Non è un problema – buttò lì Sergio. – I nostri genitori si arrenderanno presto e torneremo a casa. -
- Ma come, non l’hai notato che non si sono più fatti vivi? -
Era vero. Dopo la pisciata liberatoria non avevamo più visto né mamme né sbirri. Solo giornalisti.
- Forse si sono già dimenticati di noi – intervenne Michael, lo sguardo basso e la parrucca impregnata di caffè.
Sergio stava per ribattere, ma dovette tacere perché anche lui, come tutti noi, sentì degli strani rumori dal piano di sotto. Tonfi, passi, voci. Le mamme? Gli sbirri?
Gattonai verso le scale, preoccupato, e rimasi in attesa. Qualcuno prese a salire i gradini, di corsa. Era la checca platino, seguita dalla pertica verde e dalle altre checche colorate. I volti adirati, i capelli per la prima volta in disordine. Puzzavano pure. Mi scostai dalle scale, spaventato, ma loro mi ignorarono, così come ignorarono gli altri bambini.
- Liberiamo gli altri, veloci! – Strillò la checca platino, e i suoi compagni si sparpagliarono per l’edificio.
Rimanemmo lì, in attesa, nel più completo silenzio.
- Co...come cavolo hanno fatto a liberarsi? – Chiese Sergio. – Li abbiamo legati stretti, e imbavagliati. -
- Devono essere molto arrabbiati - dissi. – Non mangiano e non si laccano da due giorni. Dovevamo dargli del cibo, ci siamo dimenticati della loro esistenza. -
Ed ecco le checche al completo, tutte quante, piombare da noi. Avevano liberato le altre ai piani superiori, e ora ci stavano davanti, seri.
- Eccoli qua, i bambini ribelli - disse la checca platino. - Lo sapete cosa ci avete fatto passare? Abbiamo fame, e siamo sporchi. Sono struccato, sono orribile! -
- Concordo - bisbigliai.
- Taci! Dateci da mangiare! -
- Non...non ne abbiamo. -
- Molto bene. Mangeremo dopo. Ora abbiamo cose più importanti da fare, come farvi a pezzi. -
Deglutii. Erano tre volte noi, ma in netta minoranza. Gettai uno sguardo a Michael, che annuì. Non ci saremmo ritirati.
- Compagni - dissi. - Combattiamo! -
Furono loro i primi ad attaccare, in massa. Nessuno di noi si tirò indietro. Le checche scalciavano, schiaffeggiavano, strillavano, noi mordevamo, tiravamo i capelli e lanciavamo i contenuti dei pannolini. Non saprei dire quanto durò la battaglia, so solo che non ci furono vincitori. Entrambi gli schieramenti erano a terra, esausti e sporchi.
Michael mi guardò preoccupato. - Ho visto delle luci...tante luci, nella lotta. Sto diventando matto? -
Ora che ci pensavo, anche a me era parso di vedere dei bagliori, fra un cazzotto e l'altro. Forse stavamo impazzendo tutti. Rimanemmo a lungo così, a terra. Nessuno aveva la forza di rialzarsi.
- BAMBINI - Qualcuno ci chiamò al megafono. Mi trascinai alla finestra e vidi gli sbirri. Lo sbirro alto e muscoloso mi guardò. - E' finita - disse, sorridente. - Le vostre mamme vi rivogliono a casa, e hanno promesso che non farete più foto. Siete liberi! -
Urlammo di gioia, nonostante la stanchezza, e ci precipitammo all'uscita. Le mamme erano lì ad aspettarci.
- Piccino mio! - Strillò la zoccola sorridente.prendendomi in braccio. Per una volta ero felice di vederla.
- Buon Dio, quanto puzzi. Adesso andiamo a casa e ci facciamo il bagnetto. - Detto questo, mi riempì di baci.
La vita da bambino libero era idilliaca. Passavo le mie giornate a giocare, e nel weekend incontravo tutti i compagni al parco. Senza parrucca, Michael aveva riacquistato il suo aspetto virile, ed era sempre lui a decidere a cosa si giocava.
Fu dopo un paio di mesi dalla rivolta che scoprimmo la sconcertante verità: Anne Geddes non ci aveva rimesso per il nostro ammutinamento, anzi, ci aveva guadagnato. I bagliori di luce che avevamo visto nel corso della battaglia, non erano altro che flash. La biondona si era intrufolata nel palazzo dopo l'urinata e ci aveva fatto un bel sevizio fotografico nel corso della battaglia.
"La rivolta dei bambini di Anne Geddes", l'aveva intitolato, ed era finito su tutti i giornali e le televisioni, per non parlare di Internet. In quegli scatti c'era davvero tutto, dovevo ammetterlo: la drammaticità, la rabbia, il bianco e nero. Bambini che mordevano e checche che schiaffeggiavano.
La signora Geddes aveva ricompensato profumatamente le mamme per gli scatti, mamme che sapevano della sua intrusione nel palazzo, e che erano sparite per quei due giorni in attesa che la fotografa finisse il suo servizio. Anche gli sbirri sapevano.
Preso in giro, sfruttato, umiliato. Ecco come mi sentivo. Avevo conquistato la libertà, ma non avevo sconfitto la schiavista. Alla tenera età di tre anni non compiuti, scoprii che la libertà, così magica e sublime, aveva sempre un prezzo.





      

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